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Riflessioni sull'allarme lanciato dalle Nazioni Unite sull'istruzione delle donne

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

Getty ImagesISSOUF SANOGO

A fine settembre 2018 il leader canadese Justin Trudeau, assieme al premier Emmanuel Macron e all’inglese Theresa May, hanno richiamato l’attenzione delle Nazioni Unite, per trattare di una questione non più rimandabile: perché il diritto all’istruzione viene ancora negato (soprattutto) alle donne in aree vastissime del mondo? Si è ragionato sul fatto che la non-scolarizzazione delle donne non sia solo un problema culturale, ma abbia un impatto effettivo sulle nazioni in termini di produttività e ricchezza. Precisamente, la World Bank stima che il numero di donne che non ha accesso a un’istruzione base nel mondo, poiché appartenenti a regioni povere o attraversate da conflitti, si aggiri attorno ai 130 milioni. E l’effetto è la conseguente perdita di ben 30 trilioni di dollari complessivi, di cui ne fanno spese non solo gli stati in considerazione, ma l’intero sistema mondiale. La soluzione quindi è unica: investire e mettere sotto gli occhi di tutti il problema.

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“Auguri e figli maschi!”, si diceva una volta. Sì, perché il “fiocco azzurro” era una sorta di benedizione: un figlio maschio poteva studiare, lavorare, assumere posizioni di prestigio e comando. Rimpinguava le casse della famiglia, e assicurava la continuità della stirpe. Per le femmine invece, era un’altra questione. Bisognava crescerle, salvaguardarle, educarle alle buone maniere e alle faccende domestiche in attesa di essere “accasate” con una sorta di buon affare tra le due famiglie contraenti.

Questo succedeva, nel nostro paese, fino a circa la metà del secolo scorso, ovvero fino al momento in cui la selezione della specie ha compiuto il suo corso, dando un esito che neanche Darwin avrebbe potuto prevedere: la divisione dei ruoli si è infranta e le donne hanno avuto accesso all’istruzione, con risultati a dir poco eccellenti. Una volta cessato di essere “gli angeli del focolare”, le donne hanno infatti dimostrato di essere molto più lungimiranti e determinate della controparte maschile. Lo dicono i dati Istat del 2017 che, in Italia, su una media del 30% di laureati della popolazione totale (tra le più basse in Europa), ottiene la laurea una donna su tre, a fronte di un uomo su cinque. La costanza nel conseguire i traguardi “è donna”, e questo vale per tutte le regioni d’Italia. Insomma, se vengono offerti loro gli strumenti adeguati, le ragazze sono in grado di raggiungere ottimi risultati, sia nel percorso di studi che in quello professionale, riuscendo nel frattempo a coltivare i propri sogni e ad occuparsi della famiglia.

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Durante il summit delle Nazioni Unite quindi, il premier francese Macron ha dichiarato: “Se non investiamo noi sull’istruzione, altri se ne approfitteranno e ci sarà una crisi mondiale”. Gli stati che più necessiterebbero di una crescita invece, non investono affatto su essa. Le regioni del pianeta in cui si concentra in modo più allarmante l’analfabetismo femminile sono le stesse che faticano maggiormente a uscire dalla povertà estrema: l'Africa subsahariana, l'Asia meridionale e alcune aree dell'Estremo Oriente. A prescindere da numeri e stime economiche, negare l’istruzione a un bambino, al di là del genere di appartenenza, costituisce la piena violazione di un diritto umano.

I bambini che non studiano infatti non sapranno mai quali sono i propri diritti, né in che modo difenderli. Non avranno accesso a un personale bagaglio di conoscenza né a un libero arbitrio. Non potranno sostenere in alcun modo un’iniziativa personale o occuparsi di un’attività economica. Nel caso delle bambine la questione si aggrava: non avendo un luogo sicuro in cui abitare sono costrette a piegarsi a matrimoni di convenienza, gravidanze precoci. Sapendo benissimo di non riuscire facilmente a scampare da soprusi, violenza, malattie e sfruttamento. In questo caso, la parola “gender gap” è un eufemismo. In breve, senza istruzione non ci può essere libertà.

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Un’analisi interessante viene dal mondo mediorientale -un ambiente non di certo noto per essere progressista nei confronti delle donne- che, con i cambiamenti subiti negli ultimi anni, si rivela essere una sorpresa: il tasso di analfabetismo femminile è in generale del 42%, ma le differenze tra uno stato e l’altro sono notevoli. Talvolta fattori culturali vanno ad aggravare la situazione, come quello del contatto: essendo gli insegnanti per la quasi totalità uomini, le famiglie delle ragazze sono restie a mandarle a scuola per l’eventualità di un qualsiasi “contatto” con il sesso opposto. Per ovviare al problema, vengono talvolta istituite strutture differenziate maschi-femmine. Ma, in caso di difficoltà economica, resta comunque un’usanza più che diffusa tra le famiglie, prediligere il figlio maschio, investendo sulla sua istruzione. Ci sono però anche casi più edificanti come quelli del Bahrain o degli Emirati Arabi i quali -dopo un’impennata del PIL negli ultimi anni- hanno visto l’analfabetismo salire sì, ma tra la popolazione maschile. Esempi virtuosi riguardano anche Algeria, Giordania, Quatar Egitto e Oman, che hanno accompagnato la crescita demografica con una particolare attenzione alle strutture scolastiche. In particolare, l’Oman, nonostante una percentuale già bassa di analfabetismo femminile del 10% (nel 1970), è riuscito ad assottigliarla oggi fino al 4%. Si tratta della generazione Y, quella dei nati dopo il 1990: nell’era dell’informazione e della tecnologizzazione, si riesce finalmente a comprendere quanto siano importanti, strumenti di conoscenza adeguati per vivere in un mondo globalizzato. Tali inversioni di tendenza ci fanno sperare la rivoluzione culturale sia già in atto. Che stia per arrivare il tempo in cui le donne potranno smettere di lottare per dimostrare di “meritarsi” una dignitosa istruzione?

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