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Missione in Libia, Conte fa l'equilibrista

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

Non fa torto a nessuno dei competitor libici. Quelli più importanti l'incontra tutti. E a tutti fa promesse e ribadisce impegni. In nome dell'"inclusione". Da Tripoli a Bengasi a Tobruk: sarà stata pure "lampo" la missione prenatalizia di Giuseppe Conte in Libia, di certo, però, è stato un "lampo" molto impegnativo. Nel Paese nordafricano, il premier italiano veste i panni dell'"equilibrista", ribadendo il sostegno italiano al premier Fayez al-Serraj e al suo Governo di Accordo Nazionale (GNA), l'unico riconosciuto internazionalmente, e al tempo stesso, come anticipato ieri da HuffPost, Conte rafforza i rapporti con l'uomo forte della Cirenaica, il generale Khalifa Haftar. La visita inizia a Tripoli, dove il premier italiano incontro il suo omologo libico.

Nel corso del colloquio, a quanto riferiscono fonti di Palazzo Chigi, Conte ha auspicato che il 2019 possa essere "l'anno della svolta" per la Libia. "Non vogliamo decidere le sorti del popolo libico, ma come Paese abbiamo a cuore le sue sorti ed è questa la ragione per cui ci siamo incontrati a novembre a Palermo e per cui oggi sono qui: c'è una premura dell'Italia di offrire un contributo affinché possiate trovare un percorso di pace e di stabilità", afferma il premier italiano Quella di Conte a Tripoli – rimarca al- Serraj - "è una visita importante" nell'ambito del processo di confronto tra i due Paesi. Al Serraj - si legge in una nota del governo di Tripoli - "ha illustrato al presidente Conte la situazione politica attuale del Paese e i passi intrapresi per le riforme nei settori dell'economia e della sicurezza", così come ha ribadito la volontà di "ampliare la collaborazione tra Libia e Italia in diversi ambiti".

Conte ha ribadito ad al- Serraj il pieno appoggio italiano all'impegno messo in campo dall'Onu - così come lo aveva espresso già venerdì in un colloquio telefonico con l'inviato Onu Ghassan Salamè - per l'organizzazione ed il successo della Conferenza Nazionale libica nel quadro del processo di stabilizzazione del Paese ed ha assicurato che si farà portatore di questo messaggio di sostegno nei suoi contatti con gli altri interlocutori libici. Interlocutori alquanto esigenti, quelli che Conte incontra nel pomeriggio. A cominciare dall'uomo che rivendica, nel presente, il comando di un esercito nazionale libico unificato e che mira, nell'anno che verrà, a diventare il "presidente-generale" della Libia, sul modello dell'egiziano al-Sisi, che di Haftar è uno dei più convinti e attivi sostenitori. Per esprimere anche la fisicità di una equivicinanza dell'Italia ai due fronti che si contendono la leadership della "nuova Libia", Conte riafferma ad Haftar la disponibilità a riaprire il consolato italiano a Bengasi. Il consolato era stato chiuso in via precauzionale nel 2013 dopo un attentato al console Guido De Sanctis.

Dopo aver incontrato Haftar, Conte si è spostato a Tobruk per un colloquio con il presidente della Camera dei rappresentanti Aghila Saleh. Una missione itinerante, quella del presidente del Consiglio, necessaria al rafforzamento di quella strategia dell'inclusione che è il segno distintivo dell'azione politico-diplomatica messa a punto dal titolare della Farnesina, Enzo Moavero Milanesi, condivisa in toto da Conte. Nel corso di un lungo summit a Bengasi con il generale a Haftar, sottolineano fonti diplomatiche, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha ribadito che "la via maestra per una soluzione stabile per la Libia resta un accordo politico".Nel frattempo, da Tripoli, l'Alta commissione elettorale libica si è detta pronta a organizzare il referendum sulla nuova Costituzione entro il mese di febbraio, chiedendo però al governo i fondi necessari stimati in 25,3 milioni di euro.

Il portavoce di Haftar, Ahmed al Mismari, ha rinnovato l'appoggio alle elezioni legislative e presidenziali che l'Onu punta a tenere nella primavera dell'anno prossimo. In aperta competizione e divisi pressoché su tutto, Haftar e al-Serraj si ritrovano uniti su un punto: il totale disinteresse rispetto all'inferno libico. Quello in cui sono costretti a vivere, e a morire, migranti e rifugiati. Stupri di gruppo e violenze di ogni tipo: la stragrande maggioranza delle donne, anche minorenni, subisce questo trattamento nei campi di detenzione allestiti in Libia per i migranti che dall'Africa cercano di raggiungere l'Europa, secondo un dettagliato rapporto stilato, e reso pubblico nei giorni scorsi, dalle Nazioni Unite che parla di torture, di schiavismo, di omicidi, di cadaveri gettati via come spazzatura. Un documento basato sui racconti di prima mano raccolti fra il gennaio 2017 e il 30 settembre scorso dalla viva voce di 1.300 migranti, che a quell'infermo libico e ai suoi «inimmaginabili orrori» sono sopravvissuti, riuscendo ad arrivare in Europa.

Il rapporto - presentato a Ginevra e frutto del lavoro della missione Onu in Libia e dell'Alto commissariato Onu per i diritti umani - lancia infatti un monito all'Europa, che chiude porti e frontiere, ribadendo che la Libia "non può essere considerato un porto sicuro" dove riportare i migranti intercettati in mare dalla guardia costiera di Tripoli. Perché quelle persone, che da quel tunnel buio e terribile erano appena uscite, vengono così riconsegnate ai loro aguzzini, con la prospettiva di doverlo ripercorrere. Il rapporto dell'Onu è una scioccante galleria di "violazioni e abusi", dei quali erano già trapelate notizie in passato, commessi da un largo ventaglio di persone che in Libia occupano posti pubblici, da gruppi armati, trafficanti di esseri umani e contrabbandieri. "Le donne, adulte e adolescenti, vengono generalmente stuprate dal branco, mentre altre vengono prelevate e portate in altri posti dove subiscono violenze e da cui tornano sconvolte, ferite e con abiti strappati". I testimoni raccontano anche di altri detenuti assassinati, torturati, di condizioni di detenzione disumane, di schiavismo, sfruttamento e lavori forzati. E anche estorsioni: più soldi di quelli già pagati per il viaggio, estorti ai familiari esercitando minacce sul loro caro tenuto in ostaggio e minacciato di sevizie o di essere ucciso.

Nei centri di detenzione, rivela il rapporto, le condizioni di squallore e violenza non cambiano per i bambini. "Innumerevoli migranti e rifugiati hanno perso la vita durante la cattività, in mano a trafficanti, uccisi a colpi di arma da fuoco, torturati a morte o semplicemente lasciati morire di fame o per negate cure mediche", si legge nel documento. "In tutta la Libia, corpi non identificati di migranti e profughi con ferite da arma da fuoco, segni di tortura e ustioni vengono scoperti, spesso in cesti della spazzatura, letti di fiumi in secca, fattorie e nel deserto". A tutto questo orrore le autorità libiche non possono, o non vogliono, porre rimedio e si sono rivelate "incapaci o riluttanti a porre fine alle violazioni e agli abusi commessi contro migranti". "Anni di conflitti armati e divisioni politiche hanno indebolito le istituzioni libiche, compresa la magistratura, che non sono state capaci, se non addirittura riluttanti, ad affrontare la pletora di abusi e violazioni commessi contro migranti e rifugiati da parte di contrabbandieri, trafficanti, membri di gruppi armati e funzionari statali che godono di totale impunità", rimarca il rapporto.

E ancora: "Questo clima di illegalità fornisce terreno fertile per attività illegali illecite, come la tratta di esseri umani e il traffico criminale, e lascia uomini, donne e bambini migranti e rifugiati in balia di innumerevoli predatori che li considerano come merci da sfruttare e estorcere al massimo guadagno finanziario. Gli abusi contro i migranti e rifugiati subsahariani, in particolare, sono aggravati dal fallimento delle autorità libiche nell'affrontare il razzismo, la discriminazione razziale e la xenofobia".

Tutto questo lo compiono non solo le bande di trafficanti ma anche polizia ed esercito regolare. Gli osservatori Onu hanno ricevuto molte "informazioni credibili sulla complicità di alcuni attori statali, inclusi funzionari locali, membri di gruppi armati formalmente integrati nelle istituzioni statali e rappresentanti del Ministero dell'Interno e del Ministero della Difesa, nel contrabbando o traffico di migranti e rifugiati. Questi attori statali si arricchiscono attraverso lo sfruttamento e l'estorsione di migranti e rifugiati vulnerabili". "Oltre alla detenzione per violazione della legislazione sull'immigrazione, i migranti e i rifugiati sono vulnerabili ad essere arbitrariamente arrestati e detenuti, anche da gruppi armati nominalmente sotto il controllo del Ministero dell'Interno, in relazione ad accuse di furto, reati legati alla droga, lavoro sessuale, consumo di alcool e terrorismo. In questo modo si tengono centinaia di persone, la maggior parte senza accusa né processo per periodi prolungati.

"Migranti e rifugiati sono a rischio di arresto o cattura arbitraria ai posti di blocco o in strada da parte di forze di sicurezza, membri di gruppi armati ma anche privati cittadini privi di qualsiasi autorizzazione". Ma questo inferno non ha trovato spazio nella missione libica di Giuseppe l'"equilibrista" .

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