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Calcio femminile, il piano per il futuro: stop alle discriminazioni

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

La discriminazione sessuale, le molestie sessuali e gli abusi sessuali costituiscono ancora alcuni tra i più gravi problemi nel calcio femminile e rappresentano in molti Paesi un ostacolo alla pratica dello sport maschile più popolare del mondo. Lo sottolinea "Raising Our Game", il rapporto sul calcio professionistico femminile - pubblicato dalla Fifpro, il sindacato mondiale dei calciatori e delle calciatrici - frutto di un sondaggio tra 186 giocatrici delle Nazionali femminili di 18 paesi. Il rapporto, la cui diffusione era prevista per lo scorso febbraio, è integrato dalle prospettive sul panorama occupazionale dopo la pandemia, che ha inasprito i problemi del settore. Il segretario generale della Fifrpro, Jonas Baer-Hoffmann, lo ha spiegato: "Siamo consapevoli che stiamo pubblicando questo rapporto durante un periodo estremamente incerto e preoccupante. Proprio per questo avvertiamo, a maggior ragione, la responsabilità di tracciare la strada da seguire per rilanciare il settore dopo la pandemia di coronavirus. Le calciatrici dedicano tempo, energie e passione a questo sport, spesso sottopagate, e devono essere al centro del processo di ricostruzione". Caso Afghanistan e non solo Un caso recente in Afghanistan rivela il trattamento riservato alle calciatrici in alcuni Paesi. Risale al novembre 2108 e riguarda le terribili storie di abusi sessuali su giocatrici della Nazionale afghana. Al centro delle accuse un dirigente federazione. "Le sue accusatrici erano state costrette a fuggire dal Paese - si legge nel rapporto - ma Fifpro ha spinto la Fifa alle indagini e a multare ed espellere i responsabili, perseguiti penalmente. Nessun abuso sarà più tollerato". Dal coraggio delle calciatrici dell'Afghanistan è nato il movimento mondiale #MeToo nel calcio, che ha portato alla luce altri casi di abusi sessuali, anche di minori, nel calcio femminile: in particolare in Colombia, Ecuador, Gabon, Canada, India: "Si tratta di una crisi acuta dei diritti umani, che ha un impatto significativo a lungo termine sulla vita delle vittime. Più il calcio femminile si sviluppa, maggiore diventa il potenziale di abuso. Sono necessarie misure a livello di governance, per garantire la protezione e la sicurezza delle giocatrici e consentire loro l'accesso ai meccanismi di segnalazione e denuncia". Megan Rapinoe, il simbolo della riscossa Il 2019, anno del Mondiale femminile giocato in Francia, è stato un fondamentale punto di arrivo per il processo di riconoscimento anche sociale del calcio femminile. Ne è simbolo la statunitense Megan Rapinoe, premiata ai Fifa Awards di Milano, le cui rivendicazioni sociali, per i diritti Lgbt, per l'uguaglianza di genere e per la giustizia contro la discriminazione razziale hanno fatto il giro del mondo proprio per il suo status di stella del calcio femminile. Le calciatrici della Nazionale Usa, su sua spinta, hanno intrapreso un'azione legale contro la Federazione statunitense di calcio, l'8 marzo, per le disuguaglianze salariali e di reddito e la disparità di trattamento rispetto ai colleghi professionisti uomini. In Argentina, inoltre, la calciatrice Macarena Sanchez ha chiesto alla federazione e al suo club, l'Urquiza, il riconoscimento del suo status di dipendente e dei suoi diritti di calciatrice professionista. Infine Nadia Nadim, calciatrice afghana rifugiata in Danimarca, è stata nominata ambasciatrice nel Consiglio per i rifugiati e campione dell'Unesco per l'educazione di ragazze e donne. Un boom per poche   Il successo anche televisivo del Mondiale 2019, che il presidente della Fifa Gianni Infantino aveva rimarcato alla vigilia della finale, vinta dagli Usa contro l'Olanda, porterà all'estensione della prossima edizione, nel 2023, da 24 a 32 squadre e al raddoppio dell'investimento nel calcio femminile nei prossimi cinque anni, da 500 milioni di dollari a 1 miliardo. Ma il rapporto della Fifpro segnala come ancora troppe calciatrici rinuncino a dedicarsi all'agonismo per ragioni economiche (il salario mensile medio, nazionali escluse, non supera i 600 euro) e per le condizioni dell'allenamento e dei rispettivi campionati nazionali. "Gli obiettivi sono chiari. Standard minimi globali di impiego, con contratti, compensi, carichi di lavoro, ambienti di allenamento e di partita adeguati, misure di salute e sicurezza, libertà di associazione e accesso alle terapie. Standard minimi globali nei tornei internazionali, per garantire che chi partecipa a competizioni d'élite - sia di club che di nazionale - sia protetta e possa esibirsi al massimo livello, su un piano di parità sulla scena mondiale. La contrattazione collettiva come standard universale, in modo che le professioniste di tutto il mondo abbiano voce in capitolo nello sviluppo del loro sport. Nuovi format di competizione per club e Nazionali e una programmazione che permetta una carriera lunga e sostenibile. E nuovi investitori, per attenuare lo squilibrio tra i campionati e i club femminili di tutto il mondo, che hanno diversi gradi di professionalità e, troppo spesso, stagioni brevi e carenze finanziarie".
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