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La Dakar sfiora Al-Ha'ir, il carcere delle donne che hanno guidato un'auto

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

RIAD - Domani pomeriggio il traguardo della quarta tappa del Dakar Rally è Ryad, capitale dell'Arabia Saudita. Si ripartirà il mattino dopo, destinazione Al-Qaisumah. La carovana - che comprende 12 protagoniste, compresa la spagnola Laia Sanz - passerà a pochi chilometri dal carcere di Al-Ha'ir. Dove sono ancora detenute 4 ragazze saudite, "colpevoli" di aver guidato un'auto solo 2 anni fa, qualche settimana prima che cadesse il divieto per le donne di mettersi al volante. Surreale. Vero, Laia? "Però è comunque bello essere qui, e forse anche la nostra presenza può contribuire a cambiare il Paese, la sua mentalità", risponde la Sanz, 13 volte campionessa iridata di trial e dal 2011 sempre presente al rally più famoso del mondo. "Ho visto che qui si stanno aprendo un po' di più. Almeno, rispetto all'edizione dell'anno passato: allora le donne erano tutte coperte, invece adesso sembra che le cose comincino a essere diverse".

In realtà le organizzazioni per i diritti umani avevano chiesto a gran voce di boicottare l'appuntamento saudita, per protestare contro la politica conservatrice del Paese organizzatore. "Ci sono donne rimaste in carcere per anni, sottoposte a torture fisiche, psicologiche ed abusi sessuali dopo aver partecipato a campagne per il diritto delle donne a guidare. E molte sono ancora in prigione", denuncia Lucy Rae, di Grant Liberty. "E' grottesco che le autorità saudite organizzino un evento di motorsport, mentre ci sono ancora delle ragazze in galera per aver guidato un'auto".

Il caso più eclatante è quello di Loujain al-Hathloul, 31 anni, una delle più note attiviste del Paese, arrestata nel 2018 e condannata a 5 anni e 8 mesi, ufficialmente per aver "spiato e cospirato contro il Regno saudita": con 2 anni e 10 mesi di sospensione della pena, potrebbe essere liberata solo nel marzo prossimo. Le altre tre detenute per lo stesso motivo sono Mayaa al-Zahrani, Nouf Abdulaziz al-Jeraiwi e Samar Badawi. Una "vergogna": a Parigi, la Lega per i Diritti dell'Uomo ha chiesto ai media francesi di ignorare l'appuntamento. Altrettanto è successo in Germania. Nell'aprile 2019, alla vigilia della presentazione ufficiale del rally (emigrato in America Latina 12 anni fa per problemi legati al terrorismo, la Dakar ha recentemente virato sul deserto arabo grazie agli importanti finanziamenti sauditi), nella capitale Riad erano state giustiziate 37 persone colpevoli - secondo la giustizia locale - di delitti "con finalità terroristiche".

Un condannato crocifisso, gli altri decapitati. Non il miglior benvenuto per la stampa straniera, che aveva accettato perplessa l'invito degli organizzatori. I bombardamenti in Yemen, le denunce delle organizzazioni umanitarie, l'omicidio del giornalista dissidente Jamal Khassoggi: "Non date visibilità a quel paese". Però i sauditi hanno tirato dritto, forti dei 53 milioni di euro versati per garantirsi le prossime 10 stagioni del prestigioso rally: le immagini della corsa fanno comunque il giro del mondo e il principe Mohamed Ben Salman, primo ministro, è soddisfatto: "E' il modo migliore per farci conoscere. Questa è una terra bellissima. Accogliente. Libera". Lina, sorella di Loujain, ribatte: "Il regime saudita sta cercando di rifarsi una reputazione grazie allo sport, ma i crimini rimangono".

Laia Sanz racconta che la realtà saudita "è difficile da raccontare: dopo l'arrivo, per precauzioni legate alla pandemìa, siamo rimasti chiusi 48 ore in hotel. Dal giorno del via - a parte durante la corsa - ci muoviamo nella 'bolla' del bivacco, che è un posto tutto a sé: dove posso muovermi liberamente e in pantaloncini, ma senza contatti con l'esterno". Oggi, terzo stage di 626 chilometri con uno speciale cronometrato di 3403, tra le auto ha fatto meglio di tutti il qatarino Nasser Al-Attiyah, alla seconda vittoria consecutiva e adesso secondo nella classifica generale a 5 minuti dal francese Stephen Peterhansel, con lo spagnolo Carlos Sainz - che per un paio di chilometri è finito fuori pista - al 4° posto. Tra le moto, il migliore è stato l'australiano Toby Price ma l'americano Skyler Howes mantiene la leadership.

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