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Le donne al tempo del Coronavirus |

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

Ore 18:00 = come ogni giorno arriva il bollettino della Protezione Civile che aggiorna i dati dei malati di Coronavirus, di coloro che lottano e di coloro che ci lasciano, di coloro che si ammalano e di coloro che, sommersi inconsapevolmente, rappresentano una fetta enorme di malati asintomatici e che preoccupano, soprattutto in Lombardia, perché i contagi continuano ogni giorno, nonostante le misure  sempre più restrittive adottate nelle ultime settimane.

Eppure, nelle rilevazioni di queste settimane dei dati epidemiologici, emerge un trend costante. Nella percentuale degli ammalati di Covid-19, le donne rappresentano una minoranza, sembra abbiano minor rischio di contagio e minor tasso di mortalità rispetto agli uomini. Il rapporto, denunciato dalla virologa Ilaria Capua, direttrice dell’Università della Florida, One Health Center of Excellence, “sembra essere uno a otto“. Le donne, di fatto, sono più resistenti al Virus, quasi come fossero vaccinate. Ciò non significa che non si registrano perdite di donne, perché questo non corrisponderebbe al vero, se solo si pensa che in Lombardia una parte delle vittime del personale sanitario colpito è femminile.

Gli scienziati, acquisito il dato, sono allo studio del fenomeno per comprendere quali sono le motivazioni che portano ad una reazione tanto diversa da parte degli uomini e delle donne, potrebbe essere per una maggiore attenzione alle norme di igiene ovvero per  una mera predisposizione biologica; probabilmente, a fare la differenza potrebbe essere proprio la componente ormonale delle donne.

Una delle ipotesi sarebbe la sussistenza di una proteina chiamata ACE2, presente sulle cellule dell’epitelio polmonare, a cui il virus si aggrappa per provocare la forma di polmonite, così devastante, che, invece, proteggerebbe la salute delle donne. Ecco, dunque,  le donne, per aspetti genetici e ormonali, producendo maggiormente questa proteina, muoiono e si ammalano di meno. Statisticamente, una donna ogni tre uomini. «La presenza di questa proteina protegge i polmoni; il virus legandosi ad essa la trasporta all’interno della cellula e ne diminuisce l’espressione», le parole di Elena Ortona, Primo Ricercatore del Centro di riferimento di Medicina di Genere dell’Istituto Superiore di Sanità.

Altra ipotesi al vaglio degli scienziati sarebbe la risposta immunologica. Le donne avrebbero, costituzionalmente, un sistema immunitario più forte degli uomini.  Infine, e non sono di poco conto, incidono anche gli stili di vita. Il fumo, più diffuso negli uomini, non aiuta e poi ci sono piccoli accorgimenti a cui le donne prestano più attenzione, come l’igiene delle mani e l’attenzione alla pulizia in generale.

Nell’attesa degli sviluppi scientifici di ricerca, non di certo immediati, i virologi si pongono dei quesiti anche sul post-quarantena, visto che i tempi per un vaccino saranno indubbiamente lunghi ovvero se, per proteggere le persone più fragili, quali anziani e gli uomini perchè più colpiti numericamente, possa essere organizzata una ripresa delle attività,  avviando a lavoro, prima le donne, divise, peraltro, ipoteticamente per fascia di età (infra 25enni; tra i 25 e 45 anni; le infra 50enni; e, infine, le ultra 50enni) in modo da creare quello che è stato definito dalla virologa “una rivoluzione gentile” con le donne  quasi come fossero “semafori rossi” volte a rilevare l’eventuale persistenza o permanenza del virus.

Indubbiamente, seppur meno colpite dal Virus, le donne restano quelle maggiormente in trincea in questa figurata guerra contro il Covid-19. Da una indagine svolta dal New York Times sulle donne lavoratrici, emerge che le misure emergenziali gravano in misura decisamente maggiore sulle donne che in tutto il mondo restano le principali responsabili della cura dei propri figli e della casa.

Non si lavora più ad ore, ma h 24, senza soluzione di continuità tra lavoro in senso stretto e lavoro “familiare”. Di queste istanze, il Governo, con il Decreto Cura Italia, ha preso consapevolezza, prevedendo un bonus baby sitter ovvero la possibilità di usufruire di un congedo parentale per la durata di 15 giorni, retribuito al 50% o ancora l’estensione dei giorni ex legge 104/92 per assistere familiari in difficoltà, portatori di handicap o invalidità, bisognosi di forme specifiche di assistenza.

Sono settimane che in un Paese totalmente blindato, è partita, per necessità, una nuova organizzazione del lavoro: si tratta dello Smart Working, che in Italia non è mai veramente decollato, soprattutto nel settore pubblico,  relegato ad essere semplicemente una modalità sperimentale di svolgere il lavoro da casa. Il Governo nei suoi innumerevoli decreti ha definito il lavoro agile come “modalità ordinaria di lavoro”, in grado come misura di fronteggiare il rischio di contagio dato dalle situazioni di assembramento ingiustificato.

Di fatto, visto sempre con enorme diffidenza, lo Smart Working veniva identificato come un sistema per starsene a casa e non andare a lavorare, mentre, nella sua vera natura, il lavoro agile è un lavoro che va quantificato e monitorato, che rende possibile il raggiungimento di risultati importanti in termini di efficacia ed efficienza e qualità.

La caratteristica dello Smart Working è, infatti, una forte autonomia professionale, abbinata all’elemento “flessibilità” che permette di raggiungere gli obiettivi aziendali prefissati attraverso metodologie e tempistiche lasciata alla libertà di autodeterminazione del lavoratore.

Sta di fatto che lo smart working, forzato, da una ricerca #iolavorodacasa condotta da un’associazione di imprese, Valore D, ha rilevato che ben il 93% degli occupati lavora da casa. Il precipitato immediato di tale considerazione è la notevole disparità esistente tra uomini e donne per la gestione dello spazio di lavoro in casa. Una donna su tre lamenta la difficoltà concreta di ritrovare spazi tranquilli nell’ambiente domestico e di poter usufruire di una postazione di lavoro autonoma da ingerenze  e invasioni di qualsivoglia natura. Di fatto, pur nell’era ultramoderna in cui viviamo, il Coronavirus ha ribadito una realtà costante da secoli e che nemmeno l’ambita parità tra i sessi ha debellato ovvero che la responsabilità delle dinamiche di vita familiare, dalla cura della casa all’assistenza dei figli, dalla preparazione del pranzo alla programmazione della quotidianità, grava ancora fondamentalmente sulle donne, sulle mamme, sulle mogli, con la difficoltà concreta di conciliare “vita professionale con quella personale“.

La traduzione più vicina italiana a “smart working”, utilizzando anche nelle misure restrittive emergenziali per combattere il Coronavirus, è “lavoro agile“; ma di “agile” il lavoro delle donne ha davvero molto poco. Seppure la gran parte delle donne intervistate ha espresso emozioni positive (60%), la restante parte delle intervistate – circa il 40% –  ha, invece, manifestato stress, confusione, ansia e rabbia, proprio perché ritagliarsi uno spazio autonomo e autogestito per dedicarsi al lavoro è opera titanica. Solo pochi uomini, pari ad un campione su 5, hanno manifestato gli stessi sentimenti di disagio e di rabbia: segno che la corresponsabilità genitoriale che le leggi ultime sulla famiglia mirano a realizzare è molto lontana dal concretizzarsi nella realtà.

Con i figli che non vanno a scuola, lo smart working diventa per le mamme, non una modalità di lavoro ma uno sport estremo, qualcuno lo ha definito “extreme working“, alla ricerca disperata di dedicarsi con seria professionalità ed adeguato impegno alla propria vita professionale, epurata, almeno in quelle ore, dalle incombenze di “casalinga disperata”. Una donna su tre dichiara, difatti, di lavorare molto più di prima e cerca con grande fatica di mantenere in equilibrio mondo professionale e mondo domestico.

Nelle varie fasce di età esaminate, la determinazione maggiore appartiene alla fascia delle donne sopra i 40 anni, dotati della necessaria resilienza per affrontare e superare questo momento di difficoltà, mentre le più avvilite sono le donne sotto i 30 anni.

La gran parte delle donne, pur praticando già il lavoro da casa, manifesta l’attuale disagio organizzativo, in quanto la situazione che vive si presenta anomala e confusa, con i figli a casa e il fardello della didattica  a distanza, una vita intera da riorganizzare senza più gli aiuti e le vicinanze di baby sitter, nonni e aiutanti domestiche; è tutto da ripianificare e ricostruire, anche il delicato equilibrio tra tutti i componenti della famiglia e la necessarietà di ritagliarsi autonomi spazi di tranquillità e autonomia.

Fa riflettere la circostanza rilevata da studi effettuati a Wuhan, prima città cinese che ha conosciuto il coronavirus, che i divorzi sono aumentati, dopo la convivenza obbligata, in maniera esponenziale!

A differenza che nel settore pubblico dove il lavoro agile è pura chimera, ma sta cercando di trovare una sua precisa identità e dignità, nelle grandi aziende private come nel settore bancario, è una realtà consolidata da tempo, tanto che alcune grandi aziende, per alleviare la tristezza del momento e dare un segno di speranza,  in segno di continuità con un’apparente e auspicata normalità, hanno organizzato dei momenti di formazione condivisa a distanza, dei momenti di ritrovo comune per pause caffè e pranzi virtuali, video call di gruppo” e aumentato e favorito momenti di condivisione come chat di gruppo o anche social media.

Sicuramente, qualunque sia il destino che ci aspetta dopo questa surreale parentesi di vita chiusi in casa, ci troviamo di fronte ad una vera e propria rivoluzione del mondo del lavoro ovvero ad un lavoro completamente rivoluzionato con cui bisognerà fare i conti alla fine dell’emergenza.

Le misure anti Covid-19 hanno comportato, come primo effetto brutale, l’isolamento nelle mura domestiche che non sempre è rassicurante nei contesti familiari dove gli abusi e i soprusi, nonché i maltrattamenti sono metodologia quotidiana di vita.

Emerge, drammaticamente, in questi giorni il doloroso grido di silenzio delle donne vittime di violenza. Di pochi giorni fa, l’allarme lanciato dal presidente del Gruppo degli esperti sull’azione contro la violenza sulle donne (GREVIO) del Consiglio d’ Europa, Marceline Naudi,  che ha richiamato l’attenzione sul fatto che “la casa può diventare un luogo di paura per donne e bambini, non un luogo di sicurezza”.

Le restrizioni imposte e l’obbligo di restare a casa comportano per chi esercita violenza, sempre più forme di “potere e controllo aggiuntivi” nei confronti delle vittime, indifese e sole. Peraltro, denunciare diventa quasi impossibile non potendo lasciare la propria casa, se non per motivazioni necessitate, il che depotenzia notevolmente le iniziative e il coraggio di denunciare,  e soprattutto non avendo spazi di libertà e autonomia così forti, per poter chiedere aiuto e assistenza se si è costretti a vivere costantemente con la  presenza ingombrante in casa del proprio aguzzino, senza considerare le privazioni economiche che colpiranno le donne più in difficoltà per la perdita del lavoro o dell’autonomia economica.

L’isolamento, provocato dalle misure anti Covid-19, rappresenta  una condizione ottimale  per le relazioni abusanti; per tante donne andare a lavoro o accompagnare i bambini a scuola significa poter sfuggire anche solo per poco alle dinamiche di violenza domestica e di potere nelle quali vivono tutti i giorni, e al momento anche questa fuga illusoria non è più possibile.

Molte strutture di accoglienza per donne vittime di violenza, a causa delle misure governative, sono state chiuse o fortemente limitate nella loro attività, e questo significa anche una maggiore difficoltà ad accedere ai vari supporti specialistici e ai luoghi di rifugio: questo ha comportato inevitabilmente un aggravamento della sensazione di isolamento, scoraggiando le donne dal fare segnalazioni. Da quando è iniziata l’emergenza Coronavirus si è rilevata una netta diminuzione nelle denunce per maltrattamenti: «Ci basiamo solamente sull’esperienza perché è ancora presto per avere dei dati certi, ma possiamo dire che le convivenze forzate con i compagni, mariti e con i figli, in questo periodo, scoraggiano le donne dal telefonare o recarsi personalmente dalle forze dell’ordine», dichiara un Magistrato del Tribunale di Milano che si occupa di violenza sulle donne.

Alla luce di queste preoccupanti considerazioni,  l’appello accorato del Consiglio d’Europa “a fare tutto il possibile” perché le donne vittime di violenza continuino ad avere l’assistenza necessaria, nonchè il supporto psicologico, acquista un significato concreto e, non solo simbolico, di ineluttabile consapevolezza, rafforzata dall’identità dell’Autorità da cui proviene.

Ad oggi i centri antiviolenza, secondo l’ultima rilevazione del 2017, sono 366 in tutto il Paese ma le telefonate risultano fortemente diminuite proprio perchè le misure restrittive hanno chiuso gran parte dei  Centri Antiviolenza,  pur se gli operatori continuano costantemente a prestare assistenza telefonica, fornendo consulenza legale, civile e penale, e, soprattutto,  sostegno psicologico.

Nonostante le misure restrittive che ci costringono a stare a casa, le donne, vittime di abusi e violenze,  se in pericolo, devono uscire di casa e chiedere l’aiuto delle forze dell’ordine, dichiarando lo stato di necessità per avviare le necessarie misure protettive, in modo da allontanare il violento dal nucleo familiare.

Proprio tale presa di coscienza ha spinto il Ministero della Salute a rispondere alla seguente domandaCon le misure restrittive nazionali vengono sospese le attività dei centri anti-violenza per le donne?” e la risposta, presente sul sito, è la seguente: “No. Le donne vittima di violenza e stalking non devono sentirsi sole e possono chiamare per aiuto e assistenza il numero gratuito 1522, attivo 24 h su 24. Inoltre gli episodi di violenza determinano una situazione di “necessità” che autorizza lo spostamento delle donne per raggiungere il centro antiviolenza, come previsto dal decreto dell’11 marzo”.

Siamo tutti in guerra…è vero…ma c’è qualcuno che combatte più di una battaglia quotidiana per sopravvivere alla logica delle violenze, delle sopraffazioni e dei maltrattamenti per sè e per i figli.

Nel corso del 2019, più dell’80% dei femminicidi, avvenuti in Italia, si sono svolti tra le mura domestiche. Numerosi movimenti femministi, come l’associazione Non una di meno, stanno avviando una campagna di sensibilizzazione con lo slogan “Non sei sola” per rilanciare il numero antiviolenza e stalking 1522, che è attivo anche in questi giorni 24 ore su 24 e che è gratuito, con una possibilità in più offerta ovvero quella di chattare direttamente con un’operatrice, vista la concreta e oggettiva difficoltà per le donne di telefonare, quando si è chiuse in casa o, meglio imprigionate, in casa col proprio molestatore.

Per di più, proprio per combattere e osteggiare il silenzio surreale delle donne di queste settimane, la Polizia di Stato ha messo a disposizione una app specifica YOUPOL  – prima utilizzata per il bullismo e lo spaccio di stupefacenti – estendendola agli episodi di violenza domestica da parte del proprio partner con una segnalazione in tempo reale dei reati di cui si è vittime, anche attraverso l’invio di immagini e video.

Insomma, il virus, nemico invisibile e sconosciuto, non  attacca o  attacca di meno le donne, ma in casa il nemico, visibile, conosciuto e spesso amato, nonostante tutto, diviene, nel silenzio di una solitudine assordante, la vera realtà da cui fuggire. E’, dunque, opportuno che le donne sappiano che, al di là dell’emergenza forte legata a questa pandemia ancora incontrollabile, la loro vita ha un valore sempre e comunque e che i loro diritti non si sono spenti nemmeno nell’era del coronavirus…strade piccole e invisibili, un pò più tortuose, per uscire dall’incubo delle violenze e dei soprusi, sono sempre possibili grazie all’attività di sensibilizzazione e alla presenza costante dei centri antiviolenza su tutto il territorio nazionale che non si arrestano nemmeno con la peggiore quarantena degli ultimi secoli.

Che sia tramite una telefonata o una chat o un’app, il grido di aiuto non resterà inascoltato!

 

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