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Non voglio scendere, il vademecum a un femminismo inclusivo

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

DOMANDA: Il vostro è un libro sul femminismo. Anzi, sui femminismi. Perché il plurale?RISPOSTA: Il nostro è un libro che parla di pratiche femministe, che sono differenti in base ai contesti in cui si vive, alle scelte che si fanno, alle relazioni che si intrecciano. Femminismi al plurale restituisce la ricchezza di posizioni a volte distanti anche su temi specifici, ma che hanno tutte ben chiaro che esiste una diseguaglianza di potere economico/sociale/culturale fra i sessi. È da lì che si parte se si vuole trasformare un mondo che non ci piace, perché ci discrimina, ci opprime, ci aliena, ci sfrutta, ci vuole costringere in ruoli stereotipati.

La prefazione è affidata alle sex worker. Come mai questa scelta?Per dare pieno riconoscimento politico ad amiche che hanno fatto una scelta diversa dalle nostre, ma che hanno diritto a piena cittadinanza e dignità. Il tema del sex work è spesso dibattuto all'interno dei movimenti femministi, c'è chi vorrebbe abolirlo e chi lo ritiene sempre e comunque una schiavitù sessuale. Noi pensiamo che invece vada distinto il lavoro sessuale come libera scelta dalla tratta e dalla prostituzione coatta. La scelta di fare lavoro sessuale rappresenta anche un ripensamento della sessualità femminile libera da schemi, pregiudizi e stereotipi.

Quanto spesso avviene che tante tipologie di donne vengano escluse dal discorso femminista?Il discorso femminista nasce come discorso collettivo e proprio per questo non è escludente, al contrario, riguarda tutte le donne (e uomini) di ogni età, latitudine, etnia, censo, status, cultura e religione. A riprova di questo il fatto che anche donne che non hanno militato in percorsi femministi hanno goduto e godono dei diritti acquisiti grazie alle battaglie portate avanti dalle femministe, dall'aborto alle leggi sul lavoro, dal divorzio alle norme sul reato di violenza sessuale. Possiamo certamente dire che a volte rischia di essere escludente la comunicazione verso l'esterno, ma non è facile far passare i propri contenuti quando c'è un discorso dominante che ancora descrive le femministe come brutte streghe che vorrebbero bruciare gli uomini.

Cos'è il femminismo nel 2019?Diciamolo con un slogan: è la scelta ineludibile fra soccombere alla restaurazione del presente o candidarsi alla ribellione per un futuro migliore per tutti e tutte. Lo dimostrano in tutto il mondo i movimenti femministi che manifestano perché la vita delle donne valga quanto quella degli uomini e si metta la parola fine ai femminicidi, perché non vadano al potere dittatori, perché oltre a redistribuire le ricchezze si redistribuisca il lavoro riproduttivo e di cura (mai pagato) fatto dalle donne e via dicendo, perché si ripensi il modo di stare sulla terra a fronte dei cambiamenti climatici e della bolla demografica. Nel 2019 essere femministe è insistere nel dire che sì, sicuramente il sistema capitalistico non fa bene all'umanità, ma ancor peggio è il patriarcato. Basta dare un'occhiata allo sconcertante report pubblicato dall'Istat che ci dice che ancora oggi per un italiano su quattro la violenza sessuale è addebitabile al modo di vestire delle donne, a quel “se l'è cercata” che dovrebbe essere inaccettabile.

Quali sono i diritti ancora da conquistare? Per quelli già conquistati c'è il rischio concreto di perderli?Sulla carta ne abbiamo molti spesso applicati male o non applicati proprio, come la parità salariale, la presenza garantita nei ruoli apicali e decisionali, la libera scelta per la salute riproduttiva o la libertà di essere single. Purtroppo quelli già raggiunti sono a rischio e sicuramente manca ancora conquistare la piena cittadinanza quando si viene al mondo, se sei femmina ovunque ti trovi, occidente o oriente, Nord o Sud del mondo, dal quartiere di lusso alla favela, sei spesso ancora considerata un soggetto di serie B o un oggetto.

Che importanza riveste il linguaggio di genere nella lotta al sessismo?Fondamentale, il linguaggio nomina quello che siamo, usare un lessico sbagliato significa non solo non riconoscere l'esistenza ma alimentare stereotipi e modelli sessisti. Dire sindaco anziché sindaca significa dire che una donna non può rivestire quel ruolo autorevole. Ci si stranisce per medica, architetta, avvocata mentre nel linguaggio di tutti i giorni si usa il femminile per indicare mansioni di più basso livello come infermiera, segretaria, operaia, senza alcun imbarazzo.

Il primo capitolo del libro si chiama “Saltellando verso la rivoluzione”. Di che rivoluzione si tratta?Di una rivoluzione pacifica ed ecologista, che parte dalla trasformazione delle relazioni fra viventi, perché da lì si parte per migliorare la vita di tutti e tutte, umani e viventi non umani. Le prime relazioni da ripensare sono quelle fra i sessi, le femministe lo dicono da sempre perché lì si annida la diseguglianza e la discriminazione che poi si estende a tutto il resto. È una rivoluzione dei comportamenti, dei linguaggi, dei desideri scelti e non attesi, è una rivoluzione che al centro mette le passioni e il divertimento, non solo il dovere.

Chi deve combatterla?Ci piace pensare la rivoluzione come qualcosa che si vive, non che si combatte. Le femministe sono femministe tutti i giorni, a tutte le ore, e le loro pratiche hanno un impatto su tutte e tutti. Non tutte le donne sono femministe, ma tutte dovrebbero pensarci su, ognuna a partire da sé e sentendosi parte di un percorso collettivo, perché la rivoluzione si fa insieme, non da sole.

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