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Golden Globe, il Joker di Phoenix sul podio, il successo di 'Rocketman', musical su Elton John. Martin Scorsese? Il grande sconfitto

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

LOS ANGELES – “Vi farà piacere sapere che è l’ultima volta che presento questi premi. Non me ne frega più niente”. Esordisce così il comico inglese Ricky Gervais, l’ideatore della serie tv The Office che, dopo quattro edizioni nelle vesti di host “genio e sregolatezza”, quest’anno saluta Hollywood e i Golden Globe Awards direttamente con un “F*** Off”, bippato in diretta su NBC. Sarà la pressione per lo scandalo dello scorso anno, quando il collega Kevin Hart, chiamato dall'Academy per presentare gli Oscar, è stato costretto a fare marcia indietro per dei tweet postati nove anni prima. Non che i Globe abbiano lo stesso peso: il New York Times, nel pezzo di Brooks Barnes e Nicole Sperling, gli autori che per primi hanno criticato l’organizzazione perché nella short list di candidati non appaiono abbastanza donne, dà un colpo di stocco.

“La Hollywood Foreign Press ha meno membri votanti di un’associazione genitori e insegnanti” si legge. “I Globe operano nel loro piccolo universo”. E ancora: “I premi non vengono presi sul serio come indicatori di un traguardo artistico”. Eppure, tra i Golden Globe, potrebbe davvero esserci la ricetta per l’Oscar 2020 (il 9 febbraio).

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Mentre Ellen DeGeneres incensa “il potere della tv” nel suo discorso per il Carol Burnett Award, Succession (HBO) è la miglior serie drammatica e Fleabag (prodotto da Two Brothers Pictures per BBC e Amazon) si aggiudica il premio come miglior serie commedia o musical, insieme all’attrice (e scrittrice) Phoebe Waller-Bridge.

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Il grande schermo si fa sempre meno “irlandese” (le cinque nomination del film-testamento di Martin Scorsese non sono andate in buca e Netflix si è preso solo un premio) e sempre più Spaghetti-Hollywood con il successo di C'era una volta a... Hollywood (miglior film commedia o musical, distribuito da Sony) e il boom di Quentin Tarantino, miglior sceneggiatore, e Brad Pitt, miglior attore non protagonista.  Sam Mendes trionfa con il film di guerra 1917 da lui prodotto, co-scritto e diretto come un’unica sequenza continua: l’HFPA lo incorona miglior regista e chiude le danze proclamando il film distribuito da Universal miglior film drammatico.

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È Joaquin Phoenix, invece, il miglior interprete in un film drammatico - quel Joker, Leone d'Oro di Venezia 76, che ha costretto Warner Bros. a mandare comunicati alla stampa dichiarando che il film “non è un endorsement della violenza del mondo reale” - e, oltre l’arcobaleno, la Dorothy de Il mago di Oz può finalmente incontrare Renée Zellweger (miglior attrice in un film drammatico per Judy, Pathé/BBC).

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Nel film biografico di Rupert Goold, l’ex Bridget Jones si trasforma in Judy Garland. Di Oscar ne ha già uno (Cold Mountain) ma lei, venticinque anni di carriera, non vuole dar peso nemmeno al Globe: “Tengo l’Oscar su un comodino in camera da letto, ogni volta che lo vedo penso che sia un souvenir. Conta il viaggio, non la vetta”. A Laura Dern va il riconoscimento come miglior attrice non protagonista per Marriage Story (Netflix) e Parasite del sudcoreano Bong Joon-ho è la scelta più scontatatra i migliori film stranieri, dopo la Palma d’Oro a Cannes. Grazie all’accordo con la compagnia indie Neon sta conquistando le sale nord-americane ed è sulla bocca di tutti.

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Sul versante tv, riflettori puntati inoltre su Chernobyl (HBO-Sky UK) e Stellan Skarsgård, rispettivamente miglior film tv o miniserie e miglior attore non protagonista. Se Russell Crowe - miglior attore per The Loudest Voice dove interpreta Roger Ailes, l’amministratore delegato di FoxNews accusato di molestie sessuali - diserta Los Angeles per stare accanto alla famiglia durante gli incendi in Australia, a inchiodare il pubblico sono il look di Michelle Williams (Fosse/Verdon, Fox) che stringe in mano il Golden Globe come miglior attrice e prosegue (dal palco) la sua battaglia per i diritti delle donne, seguita da Patricia Arquette, miglior attrice non protagonista in un film tv o miniserie per il true crime Universal The Act (sotto gli occhiali da sole, dietro un microfono, invita tutti ad andare a votare alle presidenziali in calendario il 3 novembre 2020).

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Spunta l’emozione di Olivia Colman che, dopo La favorita e The Night Manager, non si aspettava di portare a casa un altro premio: miglior attrice in una serie drammatica per The Crown (prodotto da Left Bank e Sony per Netflix).

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Per i Globe conta anche la musica: Elton John e Bernie Taupin vincono la statuetta per la miglior canzone originale del film Rocketman. La traccia (I’m Gonna) Love Me Again, eseguita da John e dal protagonista Taron Egerton, ha battuto tra le altre Beyoncé e la sua Spirit (The Lion King) e Taylor Swift per la collaborazione con Andrew Lloyd Webber in Beautiful Ghosts (Cats). A Egerton il premio come miglior attore in un musical o commedia.

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Intanto, durante una serata dove la storia (vera) l’ha fatta solo Awkwafina - la star di The Farewell - Una bugia buona (in Italia con Bim) è la prima artista di discendenza asiatica a vincere il Golden Globe nella categoria migliore attrice e la sesta ad essere nominata nella sezione commedia o musical - nelle mire di Gervais è finita Felicity Huffman, l’attrice di Desperate Housewives spedita qualche giorno in prigione per le mazzette pagate per imbrogliare i test di ingresso della figlia al college. Si passa al giornalista dell’inchiesta che ha scatenato il #MeToo: “I top film executives hanno una cosa in comune: sono tutti terrorizzati da Ronan Farrow" se la ride Gervais. Poi la politica: il presentatore fa notare quanto antiquati siano i premi della Hollywood Foreign Press. “La cerimonia dovrebbe solo ringraziare Netflix. Ho uno show proprio su Netflix, Afterlife, su un uomo che pensa al suicidio dopo la morte della moglie.Spoiler: non ci sarà una seconda stagione, perciò alla fine non si uccide. Proprio come Jeffrey Epstein. (Pausa). Scusate, so che è vostro amico”, facendo cenno ai dubbi sul caso del finanziere impiccato nella cella dov’era detenuto in attesa di essere processato. Sempre più cattivo: scambia Joe Pesci (il Russell Bufalino di The Irishman) per Baby Yoda; sostiene che la stagione cinematografica sia ormai “piena di film pedofili” grazie ai documentari Surviving R. Kelly e Leaving Neverland e al “biopic” su Bergoglio e RatzingerI due Papi; a Martin Scorsese - ancora al centro della polemica sui film di supereroi, quando stroncò la Marvel - dice: “Non so perché perda tempo attorno a quei parchi giochi. Non è alto abbastanza per salire sulle giostre!”.

Sull’accusa che i Golden Globe non seguano la linea dettata da #MeToo e dalla sua versione più corporate, Time’s Up, lasciando indietro black e donne nelle categorie miglior regia, sceneggiatura o film, il comedian ribatte sprezzante: “C’è poco da fare. La Hollywood Foreign press è molto razzista”. Non a caso l’oggetto della discordia (la rilettura di Piccole donne di Greta Gerwig) è rimasto a bocca asciutta. Ai moralizzatori: “Ringraziate il vostro agente, il vostro Dio e…” (il resto finisce nel silenziatore di NBC ma pare che Gervais abbia detto “Levatevi da questo c***o di palco”). Alle celebrities: “Non siete nella posizione di fare la predica al pubblico. La maggior parte di voi ha trascorso meno tempo sui banchi di scuola di Greta Thunberg”. E, sbeffeggiando il codice etico di Apple, Amazon e Disney, conclude: “Se l’ISIS avviasse un servizio di streaming, contattereste il vostro agente, vero?”. Le espressioni di Tom Hanks, inquadrato in sala prima di ritirare il Cecil B. DeMille Award, non sembrano divertite. I suoi occhi tornano a sorridere quando sul red carpet ricorda: “Che emozione, nel ’95, vedere Sophia Loren ritirare il premio alla carriera che ora consegnano a me. Sophia è un’icona. Solo il paragone con lei mi riempie di orgoglio”.

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