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L'inchiesta sull'analfabetismo delle donne arabe nelle foto di Laura Boushnak

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

Ayza ha 25 anni e già tutta una vita alle spalle. Ne aveva 8 quando l'hanno fatta smettere di andare a scuola per sposare un diciottenne. Un anno dopo, lui ha chiesto il divorzio. A 14 è la moglie di un sessantenne, al quale ha dato tre figli. A 18 un nuovo divorzio, chiesto ancora dal marito che ottiene la custodia dei bambini (lei li vede solo nei weekend). Essere povera e due volte ripudiata, nello Yemen ultraconservatore, non è uno scherzo. Fayza non aveva più niente da perdere, così si è lasciata convincere dalla sorella maggiore a riprendere gli studi contro il parere della famiglia. Stupida non deve essere, perchè ha ottenuto una borsa di studio dalla ong Yero, e oggi è al secondo anno di Economia. «Per lei, studiare non è una vittoria: è la strada verso la vittoria», dice Laura Boushnak, l'autrice del reportage fotografico di queste pagine intitolato I Read I Write. Tanti scatti per raccontare pochissime donne arabe che hanno ottenuto l'accesso a un diritto umano fondamentale: lo studio è INCREDIBILE, A PENSARCI, ma in un pianeta in cui l’82% della popolazione globale (uomini e donne) sa leggere e scrivere e lo dà per scontato, la metà esatta delle donne arabe non è in grado di farlo perché nessuno glielo ha insegnato.

Un dato che colloca quest’area nel non invidiabile primato di analfabetismo mondiale. Provate a immaginare, come suggerisce un articolo del New York Times dedicato a queste immagini, di percorrere per tutta la vita le strade intorno alla vostra abitazione per sbrigare commissioni e fare la spesa, incontrando insegne pubblicitarie, avvisi, indicazioni stradali, copertine di giornali nelle edicole, senza avere la minima idea di cosa dicano. Frustrante, no? «Nel 2009 ho riflettuto sul perché le donne arabe fossero così scarsamente presenti nel processo di rivoluzione del loro mondo», racconta la fotografa. «La risposta l’ho trovata in un resoconto del United Nations Development Programme, secondo cui i paesi arabi non si sviluppano come dovrebbero anche perché le loro donne sono escluse dal processo. E questo accade perché non hanno mai ricevuto un’istruzione». È così che ha deciso di raccontare attraverso le foto quelle che, per fortuna o per ostinazione, riescono ad andare contro la tendenza.

C'é una massima nei paesi arabi, che le donne ripetono sin da bambine e che dice «Il marito è il mio garante, non ho bisogno di studiare». Azhar, 18 anni, non potrebbe essere più in disaccordo. E' al primo anno della facoltà di Gestione Aziendale ed è la prima in assoluto della sua famiglia a frequentare l'università. I suoi parenti sono furiosi con lei perché non segue le tradizioni. Ma lo sono anche - sorpresa! - col papà, che la sta sostenendo nella sua scelta. Analfabeta lui stesso, sta facendo di tutto perchè la figlia porti a termine gli studi e non faccia la fine della sorella maggiore, che ha mollato tutto quando si è sposata. «La sua e quelle delle altre sono solo storie vincenti», spiega Boushnak, «Credo siano molto più utili del fotografare il degrado, perché servono da monito alle società repressive e da modello per le altre donne, quelle che si fingono liete del loro destino perchè ribellarsi è più difficile». Che poi, la religione in queste faccende è usata come pretesto, visto che fra le sure del Corano non ci sono segnali per cui le donne debbano ricoprire un ruolo inferiore nella società. Il Profeta stesso era sposato con una donna d'affari più grande di lui di vent'anni. La verità è che l'istruzione pesa sul bilancio di una famiglia povera e, pensando che qualcuno sposerà le figlie e le manterrà, si investe solo sui maschi. Era così anche in Italia, pochi decennifa, non è vero?». E già, ce lo siamo dimenticate.

Lo scenario non è però lo stesso ovunque. Ci sono differenze sostanziali fra uno stato della lega araba e l'altro. Perché se le famiglie (soprattutto padri e fratelli) sono il fattore cruciale per il destino di una ragazza, anche i governi hanno la loro responsabilità nei confronti dell'analfabetismo femminile, nel bene e nel male. Il Kuwait, per esempio, è il più attento alle riforme dell'istruzione a favore delle bambine, la Giordania ha un alto numero di iscrizioni femminili alle scuole ma troppi abbandoni, mentre nello Yemen, di certo il più preoccupante, due donne su tre sono analfabete e solo il 13% viene iscritto alle elementari. Eppure anche là ci sono segnali incoraggianti, come nel caso di Fayza. «Alcuni padri cominciano ad accettare che le figlie studino», spiega Boushnak, «purché gli insegnanti non siano maschi». Una condizione che, alla fine dei conti, sta creando posti di lavoro al femminile. La fotografa incontra le ragazze yemenite tramite le ong locali. Sul set le parlano di sogni, speranze, e cose da femminucce che non si possono riportare. «Le studentesse vestono l'abaya e il niqab, l'abito e il copricapo che lasciano scoperti solo gli occhi, ma si muovono più liberamente rispetto alle altre, anche se devono rincasare presto. Un abisso rispetto a quelle costrette a lasciare la scuola e a sposarsi a otto, nove anni. Uno stupro a tutti gli effetti».

POI C’È LA TUNISIA, che è da tenere d'occhio. «Si tratta di un paese dalle tradizioni secolari che ha appena approvato una nuova costituzione, con più tutele verso i diritti delle donne e in tema di poligamia e divorzio. Certo, hanno tanti altri problemi, come la forte disoccupazione per tutti. Ma là anche le ragazze fanno attivismo politico nelle università, si innamorano e si fidanzano con chi vogliono loro». E hanno grinta. Yasmine, studentessa di graphic design, si è fatta ritrarre davanti alla polizia in un sobborgo di Tunisi mentre, di nascosto, fa il segno di vittoria con le dita. Anche a lei, come quasi tutte le altre, la fotografa ha chiesto di scrivere una didascalia personale sullo scatto. Yasmine, che ricorda i tempi in cui la portavano da scolaretta ad applaudire a forza il presidente Ben Ali, e già non ne capiva il senso, ha scritto sulla sua foto: "Insegna ad avere opinioni, non a seguire dogmi. Sii ciò che vuoi, non quello che gli altri vorrebbero che tu fossi. Non accettare di essere schiava, perchè tua madre ti ha partorita libera. Coltiva la passione, la ribellione, la consapevolezza dell'amore. Resisti, ribellati, tira fuori la creatività e non essere mai debole. Sii te stessa, perchè la rivoluzione è in te". Mica le massime stracotte di Facebook.

E NOI OCCIDENTALI, come possiamo contribuire? Di recente, Boushnak ha presentato il suo lavoro in Svezia e in Inghilterra e si è imbattuta in organizzazioni femminili di sostegno alle donne immigrate, per aiutarle a integrarsi e imparare la lingua. Quando le volontarie hanno visitato la sua mostra hanno colto subito una relazione fra il loro lavoro e il suo. «C'è sensibilità perchè mi sembra che, con le dovute proporzioni, di gatte da pelare ne abbiate ancora parecchie anche voi in occidente. I problemi delle donne non sono una priorità da nessuna parte. Quello che mi sta a cuore, però, è che non si generalizzi. Uno degli obiettivi che mi propongo, quando distribuisco i miei scatti alla stampa occidentale, è proprio quello di far sì che le spettatrici "esterne" si liberino degli stereotipi sui paesi arabi». In effetti, da lontano, si tende un po' a credere che le donne laggiùsiano tutte uguali, tutte coperte, tutte sottomesse, e che vivano tutte allo stesso modo, un paese per l'altro. Invece, anche da quelle parti si fa un lavoro straordinario per i diritti civili. E se la comunità fa pressione per soffocare i loro cambiamenti, queste donne puntano tenacemente a cambiare quello che la comunità pensa. «Bisogna avere fiducia», dice Boushnak, che è sposata con un veneto. «D'altra parte, quando sono in Italia dai miei suoceri e vedo i vostri vecchi film in bianco e nero, così politicamente scorretti nei confronti delle donne, mi chiedo: a quei tempi, chi avrebbe immaginato che poi le cose sarebbero cambiate così tanto?».

Dita blu: la gallery delle donne al voto in Iraq.

Debora Attanasio

TAG: analfabetismo, inchiesta, notizie, arabia, donne

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