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DISCRIMINAZIONE: SENTENZA 16031/2009, LA CASSAZIONE LEGITTIMA LA COSTITUZIONE IN GIUDIZIO DI ORGANI DELLE P.O.

Legittima la costituzione in giudizio quale parte danneggiata gli organi delle pari opportunità e il sindacato di appartenenza

 

Con la Sentenza n. 16031/2009, la Corte di Cassazione ha legittimato la costituzione in giudizio quale parte danneggiata gli organi delle pari opportunità e il sindacato di appartenenza.

Inoltre gli stessi possono chiedere il risarcimento, iure proprio, insieme alle dipendenti discriminate e molestate sul posto di lavoro. Per parte sua, il datore di lavoro è chiamato a rispondere del reato di maltrattamenti. Il caso in esame riguarda la sentenza con la quale, il giudice per le indagini preliminari applicava la pena richiesta dalle parti nei confronti di un datore di lavoro, in relazione all'accusa di maltrattamenti. Infatti, il datore di lavoro, nella qualità di "supervisore", aveva maltrattato cinque operatrici di sala, in servizio presso l'aeroporto di Caselle di Torino. Il Gip, inoltre, condannava l'imputato alla rifusione delle spese di costituzione, assistenza e rappresentanza in favore delle costituite parti civili, tra le quali, oltre alle persone offese, vi erano il Consigliere delle parità regionale del Piemonte e la Filt CGIL, in persona del suo segretario generale pro-tempore. Avverso tale pronuncia l'imputato ha promosso ricorso per Cassazione, censurando la costituzione di parte civile del Consigliere regionale di parità e la condanna dell'imputato alla refusione delle spese in favore delle parti civili costituite. Ad avviso del ricorrente,
gli enti e le associazioni rappresentative di interessi lesi dal reato sono legittimati a esercitare i diritti e le facoltà propri della persona offesa, ma ciò non rappresenta un implicito riconoscimento a costituirsi parte civile, stante anche che il codice_delle_pari_opportunità, con riguardo al Consigliere regionale di parità, non prevede alcuna legittimazione alla costituzione di parte civile. La legittimazione è circoscritta a ambiti precisi e diversi dal processo penale. La partecipazione del Consigliere non può essere autonoma ma dovrebbe essere vincolata all'iniziativa della persona interessata e al conferimento di delega allo stesso ente, salvo il riconoscimento della possibilità di un intervento adadiuvandum. La posizione della Consigliera di parità sarebbe collegata all'interesse pubblico, ovvero alla promozione e al controllo dell'attuazione dei principi di uguaglianza di opportunità e di non discriminazione, Con ciò, sempre ad avviso del ricorrente, il il delitto di maltrattamenti, nella configurazione giuridica riconosciutagli, consiste nell'offesa indubbiamente individuale e ciò esclude che l'interesse al quale è preordinato l'ente regionale possa essere leso dalla condotta incriminatrice quale quella del caso di specie. La fondatezza della pretesa risarcitoria deve derivare da un diretta e immediata lesione al diritto di personalità dell'ente e non può derivare da un mero collegamento ideologico. Ma, la Corte ha ritenuto il ricorso infondato. Infatti, il Collegio ha osservato che il giudice di merito ha correttamente riconosciuto alla Consigliera regionale di parità la legitimatio ad causarti in ragione degli scopi istituzionali di intervento. In particolare, alla Consigliera di parità l'ordinamento riconosce la tutela alla promozione dei principi di pari opportunità e di non discriminazione sessuale tra uomini e donne nell'ambiente di lavoro. La Corte ha richiamato il codice delle pari opportunità, il quale ha ridefinito i compiti e le funzioni della Consigliera o Consigliere di parità. Tra le molteplici funzioni spiccano, oltre alla rilevazione di "situazioni di squilibrio" per la garanzia contro le discriminazioni, i compiti di promozione di progetti di azioni positive, anche attraverso l'impiego di risorse comunitarie, nazionali e locali per raggiungere le finalità di rimuovere gli ostacoli che di fatto impediscono la realizzazione di pari opportunità, azioni positive dirette a favorire l'occupazione femminile e realizzare l'uguaglianza sostanziale tra uomini e donne nel lavoro. Ora, ad avviso della Corte,
non è da revocare in dubbio che i comportamenti, sui quali si fonda l'accusa formulata al ricorrente, abbiano concretizzato il delitto di maltrattamenti rispetto al quale si configura una posizione soggettiva giuridicamente tutelata della consigliera di parità, quale soggetto danneggiato dal reato e ciò vale anche per le organizzazioni sindacali rappresentative degli iscritti vittime di violenza sessuale commessa sul luogo di lavoro che possono costituirsi parte civile e ottenere il risarcimento del danno, in quanto tale delitto lede l'integrità psico fisica del lavoratore e provoca un grave turbamento che viola la personalità morale e la salute della vittima, compromettendone la stabilità psicologica e il rapporto con la realtà lavorativa e la percezione del luogo. Pertanto, la Corte ha ritenuto legittima la costituzione di parte civile "iure proprio" dell'organizzazione sindacale di appartenenza del lavoratore vittima del reato di violenza sessuale posto in essere sul luogo di lavoro, in quanto la condotta integrante tale reato è idonea a provocare un danno sia alle persone offese che al sindacato, per la concomitante incidenza sulla dignità lavorativa e sulla serenità del lavoratore che ne è vittima e, inoltre, perché tale condotta è in contrasto con il fine perseguito dal sindacato, costituito dalla tutela della condizione lavorativa e di vita degli iscritti sui luoghi di lavoro.
Il Collegio ha ribadito che la Consigliera o il Consigliere regionale di parità siano legittimati a costituirsi parte civile, non quale ente rappresentativo di interessi diffusi ma quale "danneggiato" dal reato di maltrattamenti commessi nei confronti di più lavoratori, al fine di ottenere il ristoro del danno non patrimoniale subito. Bene, qui il giudizio riguardava le discriminazioni subite dalle donne. Ma vogliamo ricordare che non solo le donne sono vittime di discriminazioni sul posto di lavoro. Capita anche che, laddove il datore di lavoro o un superiore gerarchico sia una donna, anche questa può trattare male i dipendenti uomini e fare delle avances non gradite. Ciò che va guardato con attenzione e riformato è il mondo del lavoro.

Approfondimenti: Sentenza n. 16031/2009

Fonte: Anna Teresa Paciotti   http://www.studiolegalelaw.it/consulenza-legale/10224

 

 

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