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GOVERNARE CON LA CRISI

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Pierre Dardot e Christian Laval dopo la pubblicazione di La nuova ragione del mondo e Del comune pongono ora alla nostra attenzione Guerra alla democrazia, da poco uscito in italiano per DeriveApprodi. Qui ne pubblichiamo il primo capitolo, per gentile concessione della casa editrice, che ringraziamo

È una storia greca. Una storia che getta una luce singolarmente viva sul nostro presente. Più precisamente, è una commedia di Aristofane andata in scena nel 388 a.C. e intitolata Pluto. Colui che viene indicato con questo nome non è nient’altro che il dio della ricchezza e del denaro1. Che qui si presenta nelle sembianze di un vecchio coperto di stracci, accecato da Zeus, errante per le strade. Mentre in genere Pluto è raffigurato come un cieco, perché distribuisce ricchezza in funzione del caso, sui ricchi come sui poveri, il personaggio della commedia di Aristofane riserva le proprie buone azioni solo ai ricchi, preferendo tra questi truffatori e malfattori. Guarito della propria infermità dalle cure del dio Asclepio, a tutti promette abbondanza. Penia (la povertà) ha un bel da fare nell’obiettare che se i poveri diventassero ricchi, nessuno più lavorerebbe: la promessa della ricchezza universale ha comunque la meglio. Così si festeggia la guarigione di Pluto e la commedia si chiude con «un’apoteosi rovesciata»: una processione solenne si reca all’Acropoli, ritmata da una danza e illuminata dalle torce, per insediare Pluto nell’abside del tempio di Atena e della polis.

Oligarchia contro democrazia

Nel trionfo di Pluto la commedia rivela un vero e proprio «mondo a rovescio». Che il dio del denaro sia consacrato custode del santuario della dea, ecco ciò che demolisce le fondamenta della polis. La quale in effetti si costituisce attraverso la consacrazione della supremazia di Atena sulle potenze private, quelle delle grandi famiglie aristocratiche asservite alla terribile legge del sangue. Sono appunto queste potenze a essere relegate in un altare situato ai piedi dell’Acropoli. Basta dire che la dea intrattiene con la città politica una relazione molto forte. Non è infatti una divinità tra le altre. Come ha ben visto Hegel, la dea Atena è la città Atene, ovvero lo spirito reale dei cittadini quale vive attraverso le istituzioni della democrazia2. Il rovesciamento messo in scena da Aristofane (Pluto appollaiato sull’Acropoli) mostra che il culto del denaro e il desiderio sfrenato di ricchezza intaccano direttamente il cuore della democrazia politica. Se non c’è resistenza, è perché viene fatta promessa ai poveri di una ricchezza universalmente diffusa e non più ciecamente riservata ai soli ricchi e fighetti.

Nel leggere queste pagine scritte 2600 anni fa è difficile non pensare all’odierno destino dei greci. Da svariati anni i loro governi, volontariamente asserviti o resistenti prima della capitolazione, sono intenti a spegnere l’inesauribile sete del dio dei mercati finanziari, un Pluto interamente svincolato, ormai da tempo, dai limiti della cultura della terra, come del resto da qualunque produzione reale, ed esclusivamente preoccupato ad accrescere all’infinito le spese della propria conservazione. Al punto che taluni artigiani dei piani di privatizzazione della Troika sono riusciti a immaginare di vendere all’asta lo stesso Partenone3. In questo senso il neoliberismo è effettivamente il rovesciamento diventato realtà, è davvero il mondo alla rovescia del quale parla Aristofane. La finanziarizzazione dell’economia è il risultato diretto delle politiche neoliberali. I fondi di investimento e le grandi banche attraverso la rendita finanziaria sistematicamente si impadroniscono di una parte sempre maggiore delle ricchezze prodotte dall’economia «reale». Ma questa finanziarizzazione, prima di essere una perversione e una forma di parassitarismo, va letta come un insieme di rapporti di potere attraverso i quali le società e le loro istituzioni, insieme alla natura e alle soggettività, vengono sottoposte alla legge di accumulazione del capitale finanziario.

Ma, si obietterà, perché la democrazia dovrebbe essere minacciata da questa autonomizzazione del denaro abbandonato alla sua stessa dismisura (hybris)? E perché la democrazia dovrebbe scomparire insieme alla promessa di una ricchezza universale che Pluto fa intravvedere ai poveri? Sarebbe forse in virtù dell’universale corruzione che essa non mancherebbe di produrre? Cosa dobbiamo intendere con «democrazia», ovvero con il potere (kratos) del popolo (demos)? Il termine kratos significa molto prosaicamente la superiorità vittoriosa in una guerra contro nemici, tanto interni quanto esterni. Può anche significare la vittoria di un’opinione all’interno di un’assemblea. Ma si tratta sempre di una vittoria ottenuta dentro uno scontro. Per questo si tratta di una parola «malfamata», che all’interno della polis agli stessi democratici ripugna utilizzare, tanto essa fa sentire che il potere del popolo non è il potere del popolo esercitato dal popolo in quanto tutto, ma quello che deriva da una vittoria ottenuta dal «partito» popolare contro il «partito» oligarchico4. Se questo accade, è perché gli stessi democratici, una volta giunti al potere, cedono al «fantasma di una polis unica e indivisibile» e si sperticano a rimuovere la guerra interna alla quale pur devono la loro stessa posizione. Questa guerra è appunto chiamata stasis, parola che in greco significa tanto «posizione» ;«stazione in piedi» quanto insurrezione violenta o «sedizione». Che il senso peggiorativo della parola «sedizione», intesa come aperta guerra civile, abbia finito per prevalere non ci autorizza a misconoscere che, all’interno di una polis fondata sulla partecipazione popolare, ogni posizione politica, e non solo ogni posizione, l’intera politica è in un certo senso «sediziosa»5. Per questo è oggi importante far risuonare il senso originario della parola «democrazia»: non la gestione pacificata dei conflitti attraverso il consenso, bensì il potere conquistato da una parte della polis in una guerra contro il nemico oligarchico.

Questo potere definisce un regime politico specifico? Se guardiamo alla storia costituzionale di Atene, si tratta del regime che si è imposto nel 403 a.C. Da quel momento il popolo «si è reso padrone (kyrion) di tutto e si decide mediante decreti e tribunali in cui il popolo (o demos) predomina (o kraton)»6. In un senso più concettuale, demokratia è il nome di quel regime nel quale il potere è esercitato dalla massa dei poveri, opposto all’oligarchia, nel quale il potere è detenuto dalla minoranza dei ricchi: «di necessità quindi, dove i capi hanno il potere in forza della ricchezza, siano essi pochi o molti, ivi si ha l’oligarchia, dove invece lo hanno i poveri (aporoi), la democrazia: e tuttavia capita, come abbiamo detto, che quelli siano pochi, questi molti»7. Questa straordinaria definizione della democrazia, in genere omessa dalla lista delle accezioni scientifiche del termine8, erge a rango di criterio essenziale il contenuto sociale piuttosto che il numero. Che Pluto finisca insediato sull’Acropoli dalla maggioranza dei cittadini, come accade nella commedia di Aristofane, non cambia di una virgola il problema e non trasforma in democrazia una oligarchia. Un regime nel quale una maggioranza di ricchi eserciterebbe il potere non dovrebbe essere definita «democrazia», non più di quanto un regime nel quale governerebbe una minoranza di poveri lo si potrà dire un’«oligarchia».  (di Pierre Dardot e Christian Laval)

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