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Daria Bignardi e il suo “Oggi faccio azzurro”

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

Oggi faccio azzurro è un modo di dire tedesco che risale al Medioevo, quando gli artigiani, un giorno alla settimana, vedevano l’azzurro del cielo perché non andavano a lavorare, ed è anche il titolo del settimo romanzo della giornalista e scrittrice Daria Bignardi. La protagonista del suo libro, dal nome raro e indimenticabile: “Galla”, dall’imperatrice romana Galla Placidia, non va a lavorare perché impegnata, con tutte le sue forze, nel cercare di superare il dolore dovuto alla separazione dal marito. Dolore vissuto come un lutto che l’ha annientata come donna. Una ferita straziante, peggiore del lutto stesso, peggiore addirittura della malattia. Una ferita sulla quale non fa che rimuginare seduta sul divano pensando all’ora migliore per buttarsi dalla finestra.

“Galla”, prova debolmente  a reagire. Fa un viaggio a Monaco per raggiungere la sua migliore amica, presta volontariato nel coro del carcere, e va da una psicologa; una dottoressa che abbina il rosso all’azzurro, in un’antitesi spirituale che produce una strana potente armonia. Nella sala d’aspetto, fra una seduta e l’altra, incontra altri due pazienti che scoprirà avere vite ferme come la sua; vite che si intrecceranno, e lasceranno i lettori sospesi senza sapere in realtà fino a che punto.

Nel libro…

Nel libro della Bignardi, scritto come sempre con uno stile e un linguaggio asciutto, come quello che la caratterizza e con il quale conduce le sue famose interviste, a far da protagonista sono le dicotomie. Dentro-fuori,l’aspetto esteriore e l’interiorità; dentro-fuori, la vita nel carcere e la vita in libertà; dentro-fuori, dentro la testa e dentro il cuore. Ed è quest’ultima quella che ci piace e ci appassiona di più, quella in cui Galla è il cuore, e la voce nella sua testa è il cervello, il ragionamento, la razionalità che alla fine ti permette di rialzarti, andare avanti, e rivedere l’azzurro.

Quella voce nella testa è affidata alla scrittrice Gabriele Munter, che fu la compagna di Wassily Kandinsky . Pittrice anche lei, venne abbandonata dal famoso astrattista dopo quattordici anni d’amore e di sostegno: economico, amoroso, umano. Gabriele, che in Germania è un nome da donna, è l’opposto di Galla. La sua è una voce dissacrante, fuori dal “suo” coro. Con un linguaggio contemporaneo, e una percezione moderna dei rapporti, che poi in effetti sono sempre uguali in ogni tempo, cerca di spingere Galla alla ragione. Da donna forte che dopo una lunga depressione seppe rialzarsi, dipinge a Galla un quadro sugli uomini e suo marito in particolare, che lei rifiuta di accettare.

imageDaria Bignardi e il suo Oggi Faccio azzurro-copertina libro- fonte librimondadori.it

Galla e Gabriele, cuore e mente

Il cuore di Galla, infatti, come succede spesso dopo gli abbandoni, da a se stesso la colpa dell’infelicità e della fuga dell’altro: la giustifica, ritiene di averla avallata e incoraggiata, annichilendosi sulla percezione della propria inferiorità ed inutilità. Il fatto che il marito poi, dopo tanti anni come buttati al vento, si sia trovato una nuova compagna, più giovane, con la quale vivere un’altra giovinezza, come del resto fece anche Kandinsky, non fa che peggiorare il suo dolore, al punto da farle desiderare la morte. Per fortuna, Gabriele, sa che gli uomini sono narcisi, che restano con te finchè li fai sentire importanti, non li metti in discussione, non li critichi. Finchè rimani giovane.

Ma se ti ammali, invecchi, imbruttisci, ti lasciano, poichè non sei più decorativa, utile al racconto di se che loro stessi si fanno. Altro che invecchiare insieme e costruire ricordi! Gli uomini alla mezza età perdono la testa, non temono il ridicolo, chi compra la moto, chi mette le magliette coi cantanti, e fanno fuori i testimoni scomodi, ossia noi compagne che li abbiamo fatti diventare ciò che sono. Se la moglie si ammala poi, fanno come i bambini che non accettano la malattia della madre, e per non soffrire, si convincono di non volerle più bene, e si emancipano da lei.

Questo attacco frontale agli uomini, questa difesa dei diritti delle donne nel divorzio, non perché parte debole della società, ma proprio perché forza motrice della società stessa, anche quando non lavorano fuori casa, ci è sembrato il messaggio più forte di un libro che può sembrare leggero, di una storia in fondo come tante, comune.

La condizione femminile

“Le donne sono svantaggiate in tutto scrive la Bignardi, una società civile dovrebbe prevedere dei diritti speciali per risarcirle delle loro fatiche ancestrali. Così come l’aborto è di pertinenza femminile, dovrebbe esserlo anche il divorzio. Ti pare che uno ti usa finchè sei giovane e forte e gli cresci i figli e poi quando invecchi e non gli servi più ti manda al diavolo? Non esite!”

Gli uomini hanno la tendenza a pensare che la ormai ex moglie, che magari non ha avuto altro ruolo sociale, non avrebbe in fondo diritto a nulla, in cambio di tutti quegli anni dedicati alla “loro” vita. A malincuore abbassano la testa davanti alla legge considerandola ingiusta. Vorrebbero tagliare i fili di una vita, cancellarla come se non fosse mai esistita, come se non avesse significato impegno, sacrificio, dedizione alla famiglia con corpo e anima. Niente di più sbagliato.

Le mogli che stanno a casa, che accudiscono i mariti senza che questi debbano occuparsi di null’altro che non sia il lavoro e le loro ambizioni, che crescono i figli, se ci sono, rimangono la vera forza motrice di questa società, come lo sono state di tutte quelle passate. Il loro lavoro non è retribuito perché non si saprebbe quantificarlo. E se è vero che le donne che lavorano fuori casa fanno un lavoro doppio, vuoi per scelta, vuoi per necessità, rimangono, comunque, seppur nella loro forza, il sesso debole di un mondo fatto dagli uomini per gli uomini. Ancora oggi. E ancora oggi, questo rimane un concetto non assorbito dalle stesse donne, o soprattutto dalle più giovani che diventano l’altra.

imageDaria Bignardi ritratto-fonte bergamonews.it

Oggi faccio azzurro

Galla si rialza, impara a convivere con un dolore che si supera, ma che comunque rimane, rivede l’azzurro, riesce a trasformare in rinascita l’affetto per l’ex marito, perchè, come dice Gabriele, “affetto” significa affetto da un morbo, e l’unico modo onesto per lasciarsi alle spalle un amore che non è più degno di questo nome, è prenderlo a pedate.

Cristina Di Maggio

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