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Il cristianesimo ha favorito l’emancipazione delle donne?

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

Nel corso dei primi secoli della nostra era, il diritto romano considerava la donna come membro della famiglia, in un certo senso monetizzabile nella dote che la doveva accompagnare. Il padre sceglieva lo sposo della figlia e aveva per tutta la vita potere di vita o di morte su di lei (come anche sui figli maschi, va detto). Il cristianesimo introduce un modo nuovo di considerare la donna (e i figli): i segni e le parole di Gesù Cristo si indirizzano agli uomini e alle donne, senza distinzione. Fin dai primordi della Chiesa, i peccati di tutti – uomini o donne – sono perdonati allo stesso modo. Il medesimo paradiso viene promesso loro. Diritti e doveri del cristiano sono identici a prescindere dal sesso.

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Una mentalità discriminatoria

Il contesto che ha visto nascere il cristianesimo era tinto di una mentalità profondamente discriminatoria contro le donne. Gesù non ha esitato a protestare contro tutto quel che offendeva la loro dignità, anzi ha pure stabilito con le donne che trovava sul suo cammino rapporti di libertà e di amicizia (si pensi per esempio a Marta e a Maria). Anche se non ha attribuito loro il medesimo ruolo apostolico che ad alcuni suoi discepoli maschi, egli fece di loro le prime testimoni della sua Resurrezione e le ha valorizzate mediante l’annuncio e la diffusione del Regno di Dio, nel quale giocano un ruolo essenziale (Maria Maddalena in particolare).

Perché Gesù ha stabilito differenze ministeriali tra l’uomo e la donna? Papa Benedetto XVI lo spiegò così:

Troviamo una prima differenza nel fatto che, nella tradizione sotto forma di professione vengono nominati solo uomini come testimoni, mentre nella tradizione sotto forma narrativa sono le donne ad avere un ruolo decisivo, hanno pure la preminenza sugli uomini. Questo può derivare dal fatto che nella tradizione giudaica solo gli uomini potevano essere accettati come testimoni in tribunale, mentre la testimonianza muliebre era giudicata inaffidabile. La tradizione “ufficiale” che, per così dire, si presenta davanti al tribunale di Israele e del mondo, deve quindi attenersi ad alcune norme per poter far fronte al processo a Gesù, che in un certo senso prosegue.

I racconti, invece, non si sentono legati a questa struttura giuridica, ma comunicano l’ampiezza dell’esperienza della Risurrezione. Proprio come ai piedi della Croce, e già allora, a eccezione di san Giovanni solo le donne si trovavano là, e così fu con loro il primo incontro col Risorto. La Chiesa, nella sua struttura giuridica, è fondata su Pietro e sugli Undici, ma nella forma concreta della vita ecclesiale sono sempre e di nuovo le donne che aprono la porta al Signore, che l’accompagnano fino ai piedi della Croce e che così possono pure incontrarlo come Risorto.

Al di là di queste differenze, l’apostolo Paolo stesso – opponendosi ai costumi pagani del suo tempo (che spessissimo disprezzavano insieme schiavi e donne, considerandoli esseri inferiori alla stregua di oggetti inanimati), proclama senza esitazione la loro uguale dignità davanti a Dio: «Non c’è più né uomo né donna, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3,28).

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La libertà dei primi cristiani

È nel contesto dell’inizio dell’era cristiana che Cecilia e Agnese, a Roma, e numerose altre donne, osano proclamare la loro libertà personale in nome di Gesù Cristo. E lo avrebbero pagato con la vita. Si sarebbero opposte all’ingiusta autorità patriarcale, alle pressioni famigliari e alle abitudini secolari inerenti al matrimonio forzato. Avrebbero scelto di consacrare la loro vita e la loro verginità all’amore di Gesù Cristo. La Chiesa avrebbe preso le loro difese e avrebbe fatto tutto il possibile per far rispettare la loro scelta. Ci vollero però del tempo e molte martiri perché i costumi cambiassero e l’ideale cristiano potesse essere rispettato dalle autorità civili.

Benché non sfuggissero completamente alla mentalità del loro tempo, ancora molto misogina, alcuni gradi uomini di Chiesa difesero tuttavia nei loro scritti e nelle loro predicazioni la libertà delle figlie di Dio, e proclamarono la loro dignità come uguale a quella dell’uomo. Nel IV secolo, san Basilio avrebbe scritto:

La virtù dell’uomo e della donna è umana, poiché la loro venuta al mondo è identica, di modo che la ricompensa è la medesima per l’uno come per l’altra. […] Quanti sono della medesima natura, hanno le medesime opere.

Basilio di Cesarea, Omelie sui Salmi 1,3

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Aspre discussioni

Numerosi sono gli esempi che mostrano tuttavia quanto la Chiesa abbia conosciuto aspre discussioni sulla donna. Alcune questioni del resto si sono protratte per diversi secoli, e non sempre a favore delle donne! Tributaria della mentalità del suo tempo, la Chiesa giunse finalmente, anche se talvolta troppo lentamente, a un giusto riconoscimento della dignità femminile. Nel matrimonio, la Chiesa finì per esigere il libero consenso dell’uomo e della donna come la conditio sine qua non della validità del sacramento. Quale la ragione? Una sola: proteggere la giovane dal matrimonio combinato dai suoi genitori o dallo stupro.

Per non citare che un solo esempio, ecco la discussione a proposito del ministro del battesimo. Tertulliano (150-220) si fondava sulla Prima lettera ai Corinzi (1Co 14,34) per negare alle donne il diritto di battezzare, anche in caso di urgenza. Sarebbe stato seguito da molti altri teologi, i quali si sarebbero espressi in termini poco rispettosi della dignità femminile, fino a Giovanni Calvino (1509-1564). Nel 1094 Papa Urbano II prese posizione in senso contrario, e così avrebbe fatto due secoli dopo Tommaso d’Aquino, il quale avrebbe argomentato che anche se fosse stata una donna a celebrare il rito sempre e comunque il sacramento sarebbe stato impartito da Cristo (cf. STh III q. 67 a. 4). Il Concilio di Firenze (XV secolo) avrebbe chiuso definitivamente il dibattito, tanto più che concretamente erano spesso delle infermiere o delle ostetriche a battezzare in articulo mortis.

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La battaglia del matrimonio

La libertà del consenso richiesta teoricamente dalla Chiesa nel matrimonio avrebbe impiegato del tempo a passare realmente nei costumi. Il primo esempio di riconoscimento di nullità matrimoniale per difetto di libertà fu quello di Radegonda e di Clotario I nel 567. Nel XIII secolo Agnese di Praga, respinse diverse proposte di matrimonio (fra cui quella di Federico II, nel 1235!). Il Papa intervenne in persona in favore di Agnese per permetterle di rispondere al suo desiderio di seguire Cristo entrando in monastero. Dall’Antichità fino al Medio Evo, la condizione della donna resta molto venata di cultura greco-romana e le esigenze del Nuovo Testamento non sono ancora completamente realizzate. Talvolta il matrimonio è accompagnato da una benedizione religiosa, laddove la firma stessa non appariva su un documento scritto.

La completa attuazione di misure concrete e rivoluzionarie per la protezione della donna ha richiesto un tempo importante, ma è stata la Chiesa a ritrovarsene artefice. Si sarebbe dovuto attendere fino al IV Concilio Lateranense (1215) perché esse venissero adottate. Papa Innocenzo III diede vita a un primo statuto legale per la donna. I matrimoni non potevano più celebrarsi clandestinamente. Si tratta di un atto rivoluzionario da parte dei Padri conciliari. Per la prima volta nella storia dell’umanità, un atto ufficiale decreta – sotto minaccia di pene conseguenti – il diritto delle donne a decidere esse stesse della loro vita. Anche dopo la grandiosa novità della proclamazione, ci vollero ancora secoli perché le vecchie abitudini cambiassero.

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Un ruolo culturale

A partire dal XI secolo, cominciò a svilupparsi una devozione specialissima alla Vergine Maria, e una grande parte delle cattedrali gotiche che visitiamo ancora oggi le sono dedicate, a cominciare da Notre-Dame de Paris e dal Duomo di Milano. A quest’epoca, le donne (soprattutto quelle di buona nobiltà) godevano di maggior prestigio e di una libertà che andava fino al poter accompagnare i loro sposi in crociata! Conosciamo i nomi di quelle che accompagnarono la prima crociata: Elvira di Castiglia, che mise al mondo il figlioletto Alfonso e lo fece battezzare nel Giordano; Gothehilde di Tosny, di nobile famiglia inglese, sposa di Baldovino I di Gerusalemme, che morì durante la spedizione. Ma le donne che presero parte alle crociate non sono tutte mogli dei capi: alcune accompagnarono le truppe, come le due converse della collegiale di Serrabone, nei pressi di Perpignan (si chiamavano Richarda ed Estevania). La seconda crociata fu accompagnata dalla regina di Francia Éléonore d’Aquitania (1122-1204), la quale riuscì a convincere parecchie dame di alto rango a partire con lei. Altre donne parteciparono alle crociate e anche ai combattimenti, in particolare durante gli assedi di alcune città in mano saracena.

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