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Perché considerare le persone trans come donne sta facendo esplodere il movimento Lgbt

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

Di cosa parliamo quando parliamo di donne? È giusto includere in questa categoria le persone transgender quando si tratta di diritti o violenza domestica? È ugualmente donna chi nasce in un corpo da uomo ma non lo sente suo?

Il tema è di quelli che non ti aspetti ed è destinato a generare un terremoto all’interno del movimento Lgbt in Italia. Da un lato c’è una parte del mondo femminista che alza i muri per difendere una definizione di donna radicale, legata al sesso e non all’identità di genere. Dall’altra c’è chi le accusa di transfobia e chiama persino in causa il fascismo. Associazioni, circoli, attivisti si sono schierati da una parte o dall’altra, anche se è il silenzio dei più – a partire da Arcigay – a testimoniare l’imbarazzo che c’è all’interno dell’ambiente arcobaleno. 

Ma cosa è successo? Arcilesbica traccia una linea di rottura dentro il movimento femminista firmando la “Declaration on women’s sex-based right”, la Dichiarazione per i diritti delle donne basate sul sesso firmata nel 2019 da un gruppo di accademiche, scrittrici e attiviste in tutto il mondo. Lo scopo è quello di eliminare “tutte le forme di discriminazione contro le donne che risultano dalla sostituzione della categoria del sesso con quella dell’identità di genere”. Tradotto: considerare le persone trans come donne ha creato dei problemi per tutte le altre donne. 

Questa la posizione di Arcilesbica: “Alle donne si è sempre imposto di assentire alla sottomissione e di farsi da parte per il bene di altri. Ci viene chiesto ora di accogliere chiunque semplicemente si dichiari donna negli spazi che ci siamo conquistati negli ultimi decenni”. Ma loro non ci stanno e chiedono, al contrario, di mantenere la distinzione tra la nozione di sesso e quella di identità di genere nelle politiche delle pari opportunità. Di qui la scelta di lanciare in Italia la “Declaration on women’s sex-based right” con un webinar organizzato per domenica 31 maggio tenuto da Sheila Jeffreys, una delle autrici del manifesto, attesa a Milano per un evento che è stato poi annullato in seguito all’emergenza del coronavirus.

L’iniziativa è stata anticipata sulla pagina Facebook di Arcilesbica con alcuni estratti della Dichiarazione. “La sostituzione del concetto di sesso con quello di identità di genere ostacola lo sviluppo di leggi e strategie efficaci per il progresso delle donne nella società”. Dai reggiseni in fiamme degli anni ’70 agli slogan della piazza virtuale il passo è breve. “Se altri soggetti vengono ammessi alle misure volte ad ampliare la partecipazione delle donne alla vita pubblica, l’obiettivo di raggiungere una piena uguaglianza per le donne risulta indebolito”, si legge in un altro punto della Dichiarazione. 

Alla base c’è la convinzione che ampliare la platea dei diritti delle donne anche a chi si sente donna ma non lo è per nascita, sia sbagliato. Lo spiega ad HuffPost Cristina Gramolini, presidente di Arcilesbica. “Se, ad esempio, nelle ricerche istituzionali sulla violenza domestica, i livelli retributivi, le carriere o l’accesso alle professioni delle donne, si considerano anche le persone trans nel campione, si ottengono dati fuorvianti”. E denuncia la discriminazione che le donne subiscono se si sostituisce la nozione di identità di genere al sesso nelle politiche di pari opportunità. “Le persone transessuali necessitano di politiche mirate e di risorse aggiuntive, non detratte da quelle già scarse riservate alle donne”.

Dal post di Facebook all’inferno è passato poco. Prima gli insulti sui social fino ad arrivare anche alle minacce di stupro. Poi le accuse di transfobia. C’è persino chi si chiede se l’autore del post sia Giorgia Meloni. E all’interno del movimento Lgbt volano stracci: un gruppo di attivisti e attiviste Lgbt – tra cui Daniela Tomasino (Arcigay Palermo), Christian Leonardo Cristalli (Gruppo Trans), Alberto Nicolini (Arcigay Reggio Emilia) e Mattia Galdiolo (Arcigay Tralaltro Padova) – chiedono di cacciare l’organizzazione dall’Arci. “Non siamo trasnfobiche, ma femministe”, ribatte Gramolini. “Vogliono criminalizzare il nostro modo di vedere la realtà”.

Arcigay, contattata da HuffPost, non ha voluto commentare. La richiesta d’espulsione è un atto forte che non trova tutti gli attivisti compatti, anche se è unanime la presa di distanza dalle posizioni espresse da Arcilesbica. 

Del resto, questo è solo l’ultimo battibecco tra le due sigle. I malumori all’interno del movimento Lgbt sono noti da tempo, anche non si era ancora arrivati fino a questo punto. Tre i terreni di scontro per le posizioni contrarie di Arcilesbica alla maternità surrogata, alla prostituzione e alla pornografia. E, da ultimo, per la difesa della differenza sessuale rispetto all’identità di genere. 

Proprio sulla maternità surrogata, l’anno scorso si era accesa la prima scintilla quando Arcilesbica aveva attaccato il manifesto politico del Pride di Milano. Tra i motivi di discussione, la parte del documento in cui si invocava “la necessità iniziare una riflessione sull’utero in affitto” all’interno del movimento Lgbt. 

“Non si può eccepire su questi temi”, si sfoga la presidente Gramolini. “Ci dicono che siamo bigotte. Ma non abbiamo paura e non ci facciamo mettere a tacere dalla prepotenza”. E ricorda che “il femminismo è anche questo: diciamo quello che pensiamo”. Gli insulti? “Non ci spaventano”, tira dritto la presidente di Arcilesbica, che si dice amareggiata per il clima che si è creato e il livello “sconfortante” del dibattito. Invita poi a moderare i toni. E riceve il sostegno di una ventina di sigle e associazioni femministe che si riconoscono nel femminismo della differenza, tra cui RadFem Italia, In Radice per l’inviolabilità del corpo femminile, Se Non Ora Quando – Libere, Udi Nazionale, Collettivo Femminista Luna Rossa Napoli, Resistenza Femminista.

Indesiderate, non allineate e per questo scomode, le donne di Arcilesbica sono state paragonate in questi giorni persino al fascismo. Un’indipendenza che rivendica con orgoglio la stessa associazione, nata nel 1996 dalla divisione con Arcigay all’interno della federazione con l’intento di rivendicare i diritti delle lesbiche e a cui ancora oggi possono aderire solo le donne. 

Intanto, nel silenzio di Arcigay e mentre la legge contro l’omotransfobia – di cui si parla da oltre vent’anni – è ferma alla Camera e aspetta solo di essere approvata, questo episodio divide il movimento Lgbt. 

“Vedremo come risolverlo”, dice ad HuffPost Francesca Chiavacci, presidente nazionale di Arci, a cui associazioni, collettivi e alcuni circoli Arcigay hanno indirizzato la petizione per chiedere l’espulsione di Arcilesbica dalla Federazione. Petizione che la presidente non ha ancora ricevuto in via formale e che sta seguendo sui social. “Il nostro statuto parla di identità di genere e lotta alla transfobia”, ricorda. “La federazione promuove il riconoscimento della libera espressione dell’orientamento sessuale senza alcuna discriminazione e distinzione”. E promette che, quando la petizione arriverà sulla sua scrivania, esaminerà la richiesta insieme al collegio dei garanti. “L’iter sarà lungo”, osserva Chiavacci, che ricorda che nella storia della Federazione non si è mai arrivati a guerre così accese, neanche quando a scontrarsi erano cacciatori e ambientalisti.

 

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