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Coronavirus e diritti fondamentali: una mappa europea

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

TUTELA dei diritti umani e emergenza da coronavirus: quanto sono compatibili questi due mondi? Per rispondere, la Fundamental rights agency ha da poco stilato un rapporto ad hoc, mappando le misure adottate dall'Italia per far fronte all'epidemia di Covid-19. Non una semplice elencazione, però, ma un'analisi che tenta di valutarne l'impatto sui diritti fondamentali degli individui, quali tra gli altri la libertà di circolazione, il diritto alla privacy, il principio di non discriminazione, la libertà personale. Marta Capesciotti, della Fondazione "Giacomo Brodolini", ha curato il progetto per l'Agenzia dell'Unione europea per i diritti fondamentali (FRA).

"L'idea - spiega - è quindi quella di capire in che modo le autorità pubbliche hanno operato il necessario bilanciamento tra diritti fondamentali garantiti della Costituzione e tutela della salute pubblica, in un momento - come quello di emergenza - in cui questi entrano parzialmente in conflitto. Questo bilanciamento dovrebbe ispirarsi ai principi di necessità, temporaneità e proporzionalità: volevamo capire se le scelte adottate finora erano ispirate da questi principi che sono fondamentali per la tenuta dello stato di diritto. Lo stesso hanno fatto gli altri partner nazionali della rete di esperti FRANET che collabora con FRA. L'Agenzia, a sua volta, ha redatto un report comparato sulla situazione nei 27 Stati membri, Macedonia del Nord e Serbia".

Il rapporto è stato molto ripreso perché ad oggi è l'unico documento ragionato su questo tema: perché di queste tematiche si parla così poco?

"Se ne parla poco perché nelle fasi di emergenza si ha la percezione - e in parte questa viene strumentalmente alimentata - che di fronte a forze di causa maggiore e a pericoli per l'incolumità pubblica, la compressione dei diritti sia non solo giustificata, ma necessaria. Come se nell'affrontare un pericolo o una sfida, i poteri pubblici potessero permettersi di essere più 'leggeri' nel portare avanti il compito che giustifica teoricamente l'esistenza dei poteri pubblici stessi, ovvero garantire una società più equa, giusta e inclusiva. E questa preoccupazione è ovviamente emersa in questa fase di epidemia, ma emerge anche ogni volta che si accende un discorso emergenzialista e sensazionalista rispetto a una questione di pubblico interesse, si pensi al dibattito sulla 'invasione dei clandestini' e sul terrorismo internazionale. Sfide della nostra epoca che, lungi da avallare una declassazione dei diritti a questioni di secondo ordine in favore di questioni percepite o presentate come più pressanti, richiedono invece una gestione che sappia contemperare la pluralità di esistenze, bisogni, esigenze e che non lasci indietro nessuna persona. E invece si avverte in molti discorsi e atteggiamenti una sorta di fastidio quando si prova a far notare che esiste il rischio di eccedere nella compressione delle libertà e dei diritti in una fase di emergenza. E questo è molto pericoloso perché rischia di non farci comprendere che certe misure sono legittime solo se strettamente temporanee. Vorrei, inoltre, sottolineare che il report che abbiamo prodotto ha avuto molta risonanza anche perché è stato commissionato da FRA, un'Agenzia dell'Unione europea che negli anni si è costruita un'immagine solida di garanzia e tutela dei diritti fondamentali. Però molte realtà della società civile e persone impegnate stanno portando avanti dall'inizio della pandemia un altrettanto importante lavoro di narrazione e monitoraggio, accendendo spesso i riflettori su chi, vivendo ai margini e/o in condizioni di disagio e sofferenza, ha sofferto molto più duramente di questa fase epidemica e di lockdown: si pensi alle donne e alle persone LGBTQ che vivono situazioni di violenza in casa, a chi vive in strada, alla popolazione detenuta o alle persone straniere irregolari. Penso, tra tanti, al monitoraggio quotidiano che sta facendo Amnesty International sull'impatto del Covid sui diritti umani in Italia".

Quali sono i prossimi step da seguire per migliorare la situazione dei diritti in Europa?

"A breve uscirà il secondo report sulla situazione italiana e anche il secondo rapporto comparato di FRA: questa volta un focus specifico viene destinato al diritto alla privacy e alla protezione dei dati personali. Un tema di assoluta attualità anche considerando l'imminente avvio della sperimentazione dell'app di contact-tracing 'Immuni'. A inizio giugno consegneremo a FRA il terzo rapporto sull'Italia con un'analisi approfondita dell'impatto dell'epidemia sulla popolazione anziana. Un quarto rapporto è, infine, previsto per l'inizio di luglio: il tema di approfondimento, però, ci deve ancora essere comunicato dall'Agenzia. Per quanto riguarda i prossimi step, le cose da fare sono tantissime e dovrebbero impegnare tutti i livelli di governance, da quello comunitario a quello locale. Sicuramente si dovrebbe impedire ad ogni costo che la crisi economica che ci aspetta si traduca in un aumento delle disuguaglianze, nell'ulteriore marginalizzazione di chi già vive condizioni di svantaggio e in una escalation di odio e diffidenza verso la diversità".

Quali Paesi sono maggiormente a rischio e quali invece possono rappresentare un modello per l'Italia?

"È difficile rispondere a questa domanda perché, anche se ci troviamo di fronte a una sfida globale, l'estrema diversità dei contesti-Paese ha prodotto risposte all'emergenza differenti. Alcune sono secondo me più apprezzabili di altre; alcune misure adottate - come il tracciamento dell'intera popolazione per contenere i contagi - mi trovano in assoluto disaccordo. Detto questo, non so quanto sia utile fare una classifica dei Paesi che hanno risposto meglio all'epidemia. Quello che secondo me vale la pena sottolineare è che praticamente nessuna misura adottata era l'unica possibile, sono state fatte delle scelte politiche e se ne faranno molte altre nel prossimo futuro. Non tutti i Paesi hanno chiuso le scuole e i parchi, ad esempio. Non ovunque è stato chiesto al personale medico di fare turni di più di 10 ore. Non tutti i Paesi hanno dovuto scegliere a chi dare priorità nelle terapie intensive perché non c'erano posti a sufficienza. Non sono certa che sia solo una questione di numero di contagi anche se sicuramente l'Italia è stato uno dei Paesi più colpiti in Europa. Penso siano scelte politiche e guardare al di là dei confini nazionali ed europei, vedere cosa viene fatto altrove potrebbe aiutarci a giudicare in maniera più consapevole quello che viene fatto qui".

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