The new Pope, Sorrentino e il racconto del nostro tempo. Che tenta di uscire dal coma
Un tempo in cui lo slogan conta più della dichiarazione nel merito. Un tempo in cui la cura della promozione si fa contenuto. Un tempo infine in cui la devozione si accompagna all’estremismo di qualunque natura, gli scioperi sono guardati con accondiscendente sufficienza, i diritti delle donne sono relegati nella clausura, i matrimoni omosessuali restano confinati nel peccato (a seconda di quale sia il Papa che ne parla) e l’attesa del risveglio, sia esso di coscienza o di carne, di popolo o del singolo, si fa fede cieca.
Una sfilata che si srotola in 12 mila metri di stoffa senza perdere il suo mistero profondo, dove Dio è un millepiedi rinchiuso in una scatola. Tutto in Sorrentino si fa simbolo ma al tempo stesso tutto si infrange sullo scoglio del reale. In un silenzio assordante.
Secondo capitolo di uno svolgimento che potrebbe diventare infinito e ancestrale, come la Chiesa, come il potere, come il peccato e la sua origine. Lenta, lentissima e al tempo stesso capace di travolgere sguardo e sentimento nelle sabbie mobili da piccolo grande schermo, la serie su Sky Atlantic scritta a sei mani si nasconde dietro lo specchio dello scandalo per scavare a fondo, con un crocefisso appuntito.
Le suore che ballano come veline, il neon che impera contro il buio, il sesso suggerito, imploso, esibito, dannato, proibito e presente in ogni piega è usato come la briciola di pane lasciata sul sentiero della retta via. La ferita che resta, alla fine dell’ingombrante visione è che forse, la strada giusta sia perduta per sempre. Alla faccia dell’amore, della fragilità, delle trame ricamate, ricucite, della ricerca spasmodica del miracolo, dell’uomo salvifico, del bisogno fisico di credere. Delle intercettazioni, dell’infedeltà, della sconfitta, della rinascita.
«Sarete condannati a essere orgogliosi di me, poveri vecchi bastardi» urla papa John Malkowich. Ma dietro, è evidente, c’è Sorrentino. Che sorride a noi tutti.