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Calcio femminile e parità di genere nello sport: i diritti delle donne non aspettano più

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

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La nazionale femminile italiana di calcio.

«Ho 30 anni e solo due anni di contributi pagati ai fini pensionistici, i due anni in cui ho giocato in Francia. Non è giusto». A fare l’esempio più semplice e chiaro di cosa sia la discriminazione di genere nello sport è Sara Gama, la capitana della Nazionale italiana di calcio e della Juventus. Che ha partecipato al convegno “L’importante è pareggiare“, dedicato proprio alla questione della discriminazione tra uomini e donne nello sport e organizzato dall’Agi (avvocati giuslavoristi italiani). Già perché nonostante successi, medaglie, fama e fatica tutte le nostre campionesse, dalla nuotatrice Federica Pellegrini alla calciatrice Sara Gama, dalla sciatrice Sofia Goggia alla pallavolista Paola Egonu sono riconosciute come “dilettanti” e quindi private dei diritti di qualsiasi lavoratrice contrattualizzata, in nome di una legge, la n° 91 del 1981, che disciplina le “norme in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti”, una legge anacronistica e obsoleta. Ma il convegno di oggi è stato un evento storico perché per la prima volta si sono trovati intorno a un tavolo i principali attori di questa sacrosanta battaglia di diritti: le atlete (Gama in testa), la Federcalcio (il vicepresidente Fieg Gaetano Micchiché), la Fifa (Evelina  Christillin, membro Uefa nel board Fifa e Michele Uva, vicepresidente), il governo (Giuseppe Pierro, capo dell’ufficio dello sport delegato dal ministro Vincenzo Spadafora), la regione Lombardia (l’assessora allo sport Martina Cambiaghi), l’associazione calciatori (Damiano Tommasi) e autorevoli avvocati giuslavoristi, tutti con l’obiettivo di capire come modificare finalmente un anomalia legislativa che è anche un’anacronistica violazione della parità di diritti stabilita dalla Costituzione.

Discriminazione tutta italiana

«Di fatto oggi in Italia c’è una discriminazione di genere che non permette a nessuna atleta di essere professionista», spiega Sara Gama che, con le colleghe della Nazionale ha avuto il grande merito di accendere un faro mediatico gigantesco sul problema grazie al successo delle azzurre ai mondiali di Francia 2019: sono arrivate tra le prime 8 squadre pur essendo… “dilettanti”. Ulteriore paradosso: non c’è informazione corretta sul tema: «La gente non sa che noi siamo dilettanti in Italia. Non si può continuare così, ma non vogliamo affossare il sistema proprio adesso che iniziamo a divertirci.Tutto deve essere sostenibile economicamente per il sistema, bisogna quindi trovare delle soluzioni condivise. Non possiamo riempirci la bocca dicendoci quanto siamo brave e poi non riconoscerci i diritti che ci spettano» dice ancora Sara. Alla fine è “solo” una questione di diritti e di tutele, come i contributi pensionistici e la tutela della maternità, tanto per esempio. Ma anche le tutele contro le molestie. «Che in tutti gli ambiti lavorativi sono riconosciuti, tranne che nello sport» fa notare Evelina Christilin. Che precisa anche quanto la Fifa creda del calcio femminile visto che ci ha investito circa un miliardo di euro.

20 milioni per il professionismo femminile

Qualcosa, intanto, si sta già muovendo: un emendamento alla Legge di Stabilità, infatti, potrebbe rappresentare una grossa spinta al professionismo femminile almeno per calcio, rugby, volley e basket: 20 milioni infatti sono stati stanziati per i prossimi 3 anni sotto forma di contributi statali per le società sportive che scelgano di fare contratti professionistici alle loro atlete. Un grosso passo avanti. Sperando, naturalmente, che l’emendamento passi.Comunque la rivoluzione verso il professionismo è iniziata e non può fermarsi. Non era scontato. «Fino a pochi anni fa associare professionismo a calcio femminile era considerata una barzelletta», ha spiegato Michele Uva, vice presidente Uefa. «Quattro anni fa le ragazze della nazionale giovanile non ricevevano alcun gettone di presenza a differenza dei colleghi maschi. E i finanziamenti fissati ogni anno dalla Federazione per il calcio femminile venivano spesi in minima parte». «Nel 2015 mi è capitato di giocare in campi di calcio senza neanche le righe bianche in terra» racconta Sara Maga. Ma a partire dal 2015 state prese decisioni che hanno dato una spinta in avanti al calcio femminile, come quella presa dalla Fieg (presidente era Carlo Tavecchio) che ha imposto ai club di serie A di aprire una sezione femminile. O come l’aver reso possibile la vendita del titolo sportivo (nel caso di società in crisi, per esempio). Adesso resta da combattere la battaglia dei diritti.

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Quirinale. Cerimonia per i 120 anni della Figc. Il discorso di Sara Gama davanti al presidente Mattarella

Non è una battaglia per essere pagate come Ronaldo

Precisiamo, non stiamo parlando di una battaglia per l’equita salariale, come invece rivendicano, per esempio, le calciatrici del Nord Europa o degli Stati Uniti:  «Magari fossimo a quel punto, vorrebbe dire che le nostre calciatrici sono già professioniste al pari dei maschi» spiega Christillin. Siamo ancora un passo indietro, alla richiesta di tutele di base. E non sembri che si voglia puntare sempre e solo sul calcio, ma resta il fatto che il calcio femminile ha delle potenzialità enormi e gode di una visibilità che andrebbe poi a vantaggio di molti altri sport e di molte altre atlete. «La società italiana è cambiata, la cultura è cambiata e non è ammissibile appellarsi a una legge vecchia, inadeguata e vaga, come la 91 del 1981» conclude la giuslavorista Maddalena Boffoli che insieme alla giornalista Paola Severini Melograni ha promosso il convegno di MIlano: «il diritto del lavoro deve entrare in questa problematica e aiutare a trovare gli strumenti flessibili per sostenere tutte le ragazze che vivono di sport. Stiamo parlando di diritti costituzionali di base, non è più ammissibile lasciare le cose come stanno».

  

 

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