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Iran, il sacrificio della “ragazza blu” apra la strada a nuovi diritti per le donne

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

Il venditore ambulante tunisino Mohamed Bouazizi si diede fuoco per le angherie della polizia locale, e la sua morte, il 4 gennaio 2011, fu l’innesco della rivoluzione tunisina.

Pochi giorni fa anche una giovane iraniana, Sahar Khodayari, si è data fuoco a Teheran ed è morta per le gravi ustioni riportate. Nel marzo scorso era entrata allo stadio Azadi di Teheran, sfidando con altre ragazze il divieto alle donne di assistere agli incontri maschili: un divieto per la cui abolizione sta lavorando da tempo una parte della classe politica iraniana.

Eppure i tanti tentativi di superarlo - sollecitati anche dalla Fifa, che per questo aveva fissato per le autorità iraniane la scadenza del 31 agosto dando poi tempo fino a un incontro del 10 ottobre - non sono bastati a scongiurare il terribile gesto di Sahar.

Dopo l’arresto allo stadio, dove erano entrata vestita da uomo per tifare per la sua squadra, l’Esteghlal, era stata alcuni giorni in carcere. Si è data fuoco davanti al tribunale dopo aver saputo di rischiare una condanna a sei mesi. Secondo Iranwire, sito di giornalisti della diaspora, la ragazza è morta in ospedale non il 9 settembre – come riportato dai media ufficiali – ma tre giorni prima.

Cosa che non ha impedito che le cerimonie dell’Ashura - lo scenografico rito funebre con cui gli sciiti commemorano l’eccidio dell’Imam Hussein e dei suoi seguaci nella piana di Karbala nel 680 d.C. - coincidessero con le innumerevoli espressioni di dolore e di rabbia per la morte di Sahar circolate sui social media, con ripetuti inviti alla Fifa ad espellere l’Iran.

Ma le autorità avrebbero anche costretto la famiglia a tacere “per ragioni di sicurezza nazionale”, riferisce ancora Iranwire, e impedito alla gente e ai reporter di entrare in ospedale. E avrebbero detto alla famiglia di non dare interviste e di non svolgere funerali in pubblico.

“Elementi interni e stranieri - sarebbe stato detto ai familiari - stanno aspettando di sfruttare questa situazione e vostra figlia è già costata abbastanza al paese”.  La sicurezza nazionale e il pericolo di nemici in agguato sono le tipiche giustificazioni delle dittature per reprimere il dissenso.

E tornano utili anche da un sistema politico, come la Repubblica Islamica, in cui convivono elementi di democrazia e di teocratico illiberalismo. Un sistema che però aveva anche accettato il dialogo e il negoziato con l’Occidente, per poi vedere traditi gli impegni presi con l’accordo sul nucleare del 2015, e finire di nuovo sotto assedio economico, politico e militare.

Non che questo – sia chiaro – in alcun modo giustifichi le restrizioni che continuano a subire le donne, i giovani e la società civile. Né tanto meno la repressione del dissenso, della libertà di stampa e di espressione, e le pesanti condanne per i sostenitori dei diritti umani, come l’avvocato Nasrin Sotoudeh, o le giornaliste come Marzieh Amiri.

Ma i fatti vanno anche considerati nei loro contesti, e la cronaca e la storia si scrivono anche ponendosi interrogativi. Per esempio: se l’Iran non fosse stato nuovamente demonizzato e costretto a resistere nell’isolamento, i conservatori radicali avrebbero ora la stessa forza acquisita man mano che i moderati perdevano credito anche – ma non solo - per il tradimento degli Usa e dell’Europa? E avrebbero lo stesso buon gioco nel reprimere, come in passato, le libertà civili e nel mettere a tacere il dissenso?

Quale che sia la risposta, di certo si può dire che in Iran vi sono tante voci e diverse: come quella della parlamentare riformista Parvaneh Salahshouri, che su Twitter ha scritto che Sahar “non era solo la ragazza blu – dal nome della sua squadra del cuore, ndr.  – ma la ragazza dell’Iran, dove gli uomini decidono del destino delle donne e possono privarle dei loro elementari diritti umani, e dove ci sono donne contro le donne che  li assistono in questa sfacciata crudeltà. Siamo tutti responsabili per la detenzione e l’auto-immolarsi di tutte le Sahar del Paese”.

La stessa deputata riformista, riferisce il Center for Human Rights in Iran, solo pochi giorni prima aveva duramente criticato la recente repressione ai danni di giornalisti e attivisti per i diritti dei lavoratori, chiedendo al capo della magistratura Ebrahim Raisi di garantire lo stato di diritto. E si era appellata all’Articolo 27 della Costituzione, che garantisce il diritto di manifestare.

In Iran vi sono dunque anche donne in prima fila nel dibattito politico. E se è improbabile che il sacrificio della Bouazizi iraniana possa innescare una nuova rivoluzione, in un sistema che ha dimostrato di saper reggere anche la strategia trumpiana di ‘massima pressione’, speriamo che Sahar possa essere ricordata per aver fatto fare un altro passo avanti per i diritti delle donne. 

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