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Nella post democrazia non basta la scuola a formare «buoni cittadini»

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

Il muro di post it nella stazione di Union Square a New York dopo la vittoria di Trump

Il testo è una sintesi dell’intervento della professoressa Loredana Sciolla, professoressa di sociologia all’Università di Torino.... alla prima conferenza internazionale della rivista Scuola Democratica, diretta da Luciano Benadusi, edita dal Mulino che si è svolta dal 6 all’8 giugno a Cagliari

L’istruzione formale, rilevata attraverso il titolo di studio acquisito, ha un impatto rilevante non solo sul benessere economico ma anche sul benessere collettivo di una nazione, in particolare sullo sviluppo di una società culturalmente più avanzata e civile: l’istruzione è uno tra i fattori cruciali nel favorire le molteplici dimensioni di cui la cultura civica è composta: i valori, come la solidarietà, la tutela dei beni comuni, il rispetto delle regole della convivenza civile; la partecipazione politica, convenzionale (voto) e non convenzionale (manifestazioni, scioperi, boicottaggi), l’appartenenza ad associazioni volontarie; la fiducia (interpersonale e nelle istituzioni) e l’apertura o innovazione culturale (riconoscimento dell’alterità, spirito critico, atteggiamenti non tradizionalisti verso il ruolo e l’immagine della donna).

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Un recente rapporto dell’Istat (2019) rileva che in Italia lo spirito civico, che è sempre stato carente, risulta in crescita e diffuso alla grande maggioranza della popolazione per quanto riguarda il giudizio di ingiustificabilità di alcuni comportamenti lesivi delle regole quotidiane del vivere civile, come gettare a terra cartacce, viaggiare senza biglietto sui mezzi pubblici, usare il cellulare alla guida senza auricolare. Ma gli italiani sono meno intransigenti sulle trasgressioni più dannose per l’interesse collettivo, come l’infedeltà fiscale e il ricorso alle raccomandazioni: meno di 7 persone su 10 le ritengono inammissibili. Tra questi aspetti del civismo e il titolo di studio il rapporto non è lineare: a manifestare maggiore intransigenza sono i poli opposti dei più istruiti (laurea o più) e dei meno istruiti (licenza elementare o nessun titolo). Inoltre sono le donne e le persone anziane le più intransigenti. L’istruzione formale gioca un ruolo cruciale soprattutto nel giudizio negativo sui comportamenti fortemente lesivi dell’interesse pubblico. Sugli altri comportamenti civici l’istruzione e le competenze fornite a scuola sembrano assai meno influenti. Copiare in classe, atto disonesto che viola le più elementari regole dell’istituzione scolastica, è considerato grave (molto o abbastanza) dal 70% delle persone (ma scende al 49% tra gli adolescenti) con un pur sempre un ragguardevole 30% che, al contrario, lo ritiene ammissibile. L’atteggiamento di condanna è più diffuso tra chi ha un titolo di studio superiore. Meno civici nel rapporto con le istituzioni, i giovani risultano più aperti culturalmente al riconoscimento dell’alterità e della parità uomo/donna e più libertari per quanto riguarda la morale (dall’eutanasia all’omosessualità). Gli studi più recenti rilevano anche un maggior tradizionalismo degli italiani rispetto agli altri Paesi europei, una sorta di ritorno al passato che colpisce anche i giovani e colloca l’Italia al livello dei Paesi dell’Est Europa. Avere un basso livello di istruzione aumenta in maniera consistente gli atteggiamenti conservatori e tradizionalisti rispetto alla donna e di chiusura al diverso.

La maggior tolleranza da parte dei giovani, anche quelli più istruiti, dei comportamenti trasgressivi dell’interesse pubblico, insieme alla peculiarità tutta italiana di un ritorno al passato su temi paritari sanciti dalla costituzione italiana e dai trattati dell’UE, fanno pensare che il ruolo dell’istruzione formale sia molto importante ma non sia sufficiente. Accanto all’istruzione formale bisogna dunque considerare il ruolo dell’apprendimento «informale», cioè di ciò che rientra nella nozione più ampia di «socializzazione», che accanto alle abilità cognitive, evidenzia anche l’importanza di quelle emotive, relazionali e comunicative, abilità tra l’altro sempre più richieste nella cosiddetta «economia della conoscenza» . Esiste un crescente consenso a livello europeo sul fatto che la cittadinanza democratica, il rispetto per i diritti umani e la comprensione interculturale, si imparino più efficacemente attraverso l’esperienza e il «fare» che attraverso il «conoscere».

I processi informali di apprendimento hanno subìto trasformazioni radicali a partire soprattutto dagli anni Sessanta. Tale cambiamento ha avuto esiti non solo negativi (come l’indebolimento dell’autorità, la svalutazione del ruolo propriamente morale e formativo della scuola), ma anche positivi come l’abbassamento della conflittualità intergenerazionale in famiglia e a scuola, la diffusione di modelli collaborativi e negoziali nella definizione delle regole, un trattamento più paritario tra i generi in tutte le agenzie di socializzazione. Alcuni aspetti più problematici di questo cambiamento sono, a mio parere, riconducibili alla “parabola” della democrazia. Non di quella procedurale, ma della democrazia in cui i cittadini abbiano effettivi diritti politici e civili, siano destinatari di informazioni accurate, di abilità riflessive, di saperi organizzati, di contesti di discussione e di argomentazione molto maggiori di quanto avvenga oggi e sia avvenuto in passato. Amplificata dalla grande crisi economica, la crisi democratica si manifesta in alcuni fenomeni convergenti: la sfida alla democrazia da parte del capitalismo finanziario, lo svilimento dell’opinione pubblica, la crescente sfiducia dei cittadini verso le istituzioni politiche (parlamento, partiti), la disaffezione verso il voto e altre forme di partecipazione alla vita politica, la personalizzazione e commercializzazione dei partiti, il dominio delle lobby degli affari sulla politica, l’aumento enorme delle disuguaglianze, la deriva oligarchica, fino al più recente sorgere delle cosiddette “democrazie illiberali” in molti Paesi europei.

Nell’attuale post-democrazia si fa strada un’accezione negativa di cittadinanza. Ciò avviene quando lo scopo principale della protesta è vedere i politici messi alla gogna, a scapito di un’accezione positiva di cittadinanza, intesa come formulazione autonoma di richieste rivolte al sistema politico. Questo clima diffuso potrebbe alimentare nella trasmissione verticale (dagli adulti ai giovani) e orizzontale (tra pari) l’idea che la protesta consista nell’espressione di sentimenti di rancore e risentimento per gli episodi quotidiani di corruzione e di intreccio tra affari e politica, ma anche l’idea, confermata dai dati Istat, della loro inevitabilità. Questo atteggiamento fatalistico è il contrario della cittadinanza attiva.

Assistiamo a un nuovo ed esteso processo di «disintermediazione» sociale, che consiste nell’erosione dei gruppi intermedi tra Stato e cittadini, come le associazioni volontarie che Tocqueville definiva la “linfa vitale della democrazia”, i sindacati, i partiti e altri soggetti collettivi. E’ questo il terreno di coltura di varie forme di populismo in cui il leader politico si rivolge direttamente, senza alcuna mediazione, al popolo inteso come un tutto indistinto. Nel creare questo contesto di disgregazione del tessuto sociale, anche le nuove tecnologie giocano un ruolo importante. Gli utenti si servono sempre di più di piattaforme telematiche e di provider che consentono loro di superare le mediazioni: Apple, Facebook, Amazon sono dei veri e propri monopoli che concentrano il potere su un’unica persona e agiscono senza controlli. Non solo si sta sviluppando così una economia della disintermediazione digitale, ma anche una politica della disintermediazione, visibile nelle ultime campagne politiche del 2016 (quella che ha portato alla Brexit e all’elezione di Donald Trump) che hanno usato i social media per appellarsi direttamente al popolo spingendolo ad ignorare il parere degli esperti in quanto ritenuti parte dell’establishment.

Assistiamo a un fenomeno di svalutazione del sapere, soprattutto scientifico, sintomo di una mutazione in atto tra scienza, politica, media e società. Tra i molti esempi ricordiamo il seguito sul web delle fake news, il successo del movimento no vax ecc. Le cause non sono tanto da ricercarsi nell’ignoranza di chi protesta bensì nella sfiducia diffusa verso la comunità scientifica, vista come manipolata dagli interessi economici delle aziende multinazionali. Essa è anche l’effetto del più generale processo di disintermediazione, che tende a contestare l’autorità di tutti i gruppi intermedi, compresi quelli che hanno obiettivi conoscitivi, e ad erigere l’individuo singolo come unica fonte legittima di conoscenza. La sfiducia nella competenza e nel sapere scientifico indebolisce la già scarsa reputazione sociale degli insegnanti. Ne consegue uno sfaldamento dell’alleanza genitori/insegnanti: l’intromissione a volte violenta delle famiglie nella scuola, sono il segno non soltanto di una mancanza di rispetto verso la scuola e i suoi rappresentanti, ma un disprezzo della capacità di giudizio e valutazione dell’istituzione scolastica. L’ultimo rapporto Censis ha chiamato questo fenomeno «sovranismo psichico». «Per alcuni genitori (e, purtroppo, anche per un certo numero di alunni) la scuola e gli insegnanti sono diventati non i certificatori ma la causa dell’insuccesso scolastico, meritevoli perciò di essere puniti e colpiti anche fisicamente».

Sono questioni aperte, che potrebbero gettare qualche luce sui problemi che abbiamo davanti e sulle strategie per farvi fronte. E’ ipotizzabile, e in parte verificato, che la crisi della democrazia abbia un impatto negativo sui processi educativi che rischiano di incepparsi e subire involuzioni. A loro volta questi ultimi, indeboliti e minacciati, hanno perso parte della loro capacità di formare democraticamente i cittadini. Per rompere questo circolo vizioso si tratta di puntare a tutti i livelli sulla diffusione e rafforzamento dell’istruzione e dell’informazione. Più i cittadini sono istruiti e informati meno sono manipolabili. Ma gli sforzi maggiori devono essere indirizzati a promuovere l’educazione alla cittadinanza democratica spiegando come questa sia cambiata nel tempo e come recuperare il senso di una cittadinanza attiva ed esigente non solo attraverso la sua istituzionalizzazione nel curriculum come materia specifica di insegnamento, ma attraverso tutti i mezzi disponibili: dalla diffusione delle buone pratiche all’uso informato e critico dei nuovi media, dalla promozione di contesti che sviluppano l’interazione e il senso di comunità, allo sviluppo dell’attitudine al ragionamento e all’argomentazione.

17 giugno 2019 (modifica il 17 giugno 2019 | 11:03)

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