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Il caso di Napoli e gli anti-abortisti negli ospedali

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

DELIBERA APPROVATA IL 14 AGOSTO: PER PASSARE INOSSERVATI?

«Dentro l’Asl si annidano dei complici», ne è certa la portavoce dell’Udi, che ritiene che una delle dimostrazioni coincida con una data: la delibera è stata approvata il 14 agosto. In un periodo in cui tutto tace e tutto è fermo, dunque tutto passa praticamente inosservato: «Però anche noi abbiamo la nostra rete, la rete delle donne che applicano la 194 alla luce del sole, che fanno il loro mestiere all’interno delle strutture autorizzate. Ci hanno segnalato quanto stava succedendo e abbiamo subito preso proveddimenti». La Regione si è schierata dalla loro parte, vero, ma «è intervenuta soltanto alla fine. Noi l’abbiamo chiesto, al presidente De Luca: com’è possibile che una Regione di centrosinistra si allei con il ministro Fontana?». Un’altra questione grave, anzi forse la più grave, riguarda la privacy. L’apertura dei presidi dell’associazione Parrocchia per la vita all’interno dei due nosocomi avrebbe autorizzato i volontari a distribuire materiali 'dissuasivi' alle donne intenzionate a interrompere la gravidanza, parlare con loro, sapere chi sono: «La violazione della privacy», ha sottolineato Cantatore, «è un reato penale». E alla violazione della privacy si sarebbe aggiunta un’intromissione vera e propria, perché i volontari si sarebbero rivolti a donne che hanno già deciso e prenotato l’intervento, nell’intento di dissuaderle.

IL BOICOTAGGIO DELLA 194 VA DENUNCIATO

Stefania Cantatore sa bene che quello di Napoli non è un caso isolato, ma ritiene esista un «metodo sicuro» per fermare il boicottaggio della 194 e tutelare la dignità l’autodeterminazione delle donne, nonché difendere i loro diritti esigibili: «Dire e denunciare. Se ci sono reati, se la legge non viene rispettata bisogna farlo sapere e denunciare alla Procura. È l’unica strada valida». Elena Coccia, che con Stefania Cantatore ha firmato la lettera mandata a De Luca, non ha nascosto la soddisfazione per il ritiro della delibera 1713 ma ha posto anche l’accento sulla «fortissima pressione mirata a cancellare i diritti che le donne hanno faticosamente conquistato nel corso degli anni, e che arriva non tanto dai cattolici quanto dagli integralisti». Non devono esserci intromissioni «in una scelta già di per sé molto dolorosa quale l’aborto, ma il discorso è molto più ampio. La continua limitazione dei diritti delle donne è l’humus da cui nascono fenomeni atroci come il femminicidio, è un percorso che conduce indietro, al tempo in cui la donna era solo una merce, un corpo. Un soggetto debole». Mossa dalla rabbia, Coccia ha immaginato una donna che di nuovo deve «restare a casa a fare figli, perché i suoi figli sono italiani e quindi possono contrastare quelli degli stranieri. E laddove la donna si ribella, ecco che viene privata dei soldi, del mantenimento».

NESSUNA RISPOSTA DA PARROCCHIA PER LA VITA

Una proiezione forse drastica, forse troppo pessimistica, ma giustificata dall’incessante necessità di battersi per qualcosa che dovrebbe essere, paradossalmente, semplice e naturale: il rispetto dei propri diritti. Sentire le due campane, come si suol dire, è però giusto e doveroso. Abbiamo dunque contattato don Francesco Cirino, presidente del Consiglio direttivo e legale rappresentante dell’associazione Parrocchia per la vita. Volevamo semplicemente dargli la possibilità di replicare, dire la sua, ma è stato lapidario: «Io al momento non rilascio interviste. A breve diffonderemo un comunicato stampa con il quale la nostra posizione sarà resa chiara a tutti».

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