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Csm al maschile, il Parlamento intervenga: quote 50 e 50

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

Settimana scorsa le Assemblee parlamentari sono state chiamate ad eleggere un Giudice della Corte costituzionale e i componenti c.d. “laici” degli organi di amministrazione autonoma delle magistrature ordinaria e speciali. Oltre al Consiglio Superiore della Magistratura (CSM), anche il Consiglio di Presidenza della Giustizia amministrativa (CPGA), il Consiglio di Presidenza della Giustizia tributaria (CPGT) e il Consiglio di Presidenza della Corte dei Conti CPCC). In spregio all’art. 51 della Costituzione - che proclama l’uguaglianza di donne e uomini nell’accesso agli uffici pubblici e impone alla Repubblica il compito di attivarsi affinché questo obiettivo non rimanga eluso - i nostri parlamentari hanno deciso di eleggere in tali posizioni solo uomini. Per 21 posizione disponibili, sono stati eletti 21 uomini.

Già diverse costituzionaliste socie dell’AIC hanno indirizzato ai Presidenti di Camera e Senato una lettera volta a manifestare stupore per l’accaduto e a sollecitare una riflessione interna alle Assemblee; così anche l’Associazione Donne Magistrato Italiane, che si è in particolare rammaricata per l’elezione di otto uomini al CSM. Altrettanto hanno fatto le avvocate della rete dei CPO del CNF e il CPO di Cassa Forense e la Presidente della Fondazione Marisa Bellisario, oltre che le Senatrici che alla 25° seduta del 24.7.2018 hanno presentato una mozione chiedendo l’impegno del Governo: 1) ad adottare, nel più breve tempo possibile, ogni iniziativa legislativa o amministrativa utile affinché sia introdotta una disposizione anti discriminatoria atta a rimuovere gli ostacoli che formalmente e sostanzialmente le donne devono affrontare con riguardo a quello che, di fatto, continua ad essere un monopolio maschile nell’elezione degli organi di autogoverno di tutta la magistratura, sia per la componente togata eletta dai magistrati, sia la componente laica eletta dal Parlamento; 2) a promuovere e a rafforzare la tutela dei diritti delle donne e il loro empowerment in tutti i settori, affrontando le cause strutturali della discriminazione basata sul genere, a promuovere le condizioni che favoriscono la trasformazione nelle relazioni di genere per renderle egualitarie e a garantire alle donne l’effettiva partecipazione, nonché la possibilità di assumere la leadership a tutti i livelli decisionali, politici, economici e sociali.

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A questi condivisibili appelli, sentiamo l’esigenza di aggiungere alcune ulteriori riflessioni, sull’assoluto dispregio per le norme costituzionali insito in queste elezioni. È infatti in atto una preoccupante tendenza a svilire il ruolo delle donne, sull’erroneo presupposto che siano inidonee a ricoprire ruoli di garanzia. Ma, più in generale, ruoli decisionali, secondi i più retrivi stereotipi.

Non occorre (non dovrebbe occorrere …) richiamare il faticoso e sofferto percorso che ha portato, prima, all’affermazione del sacro principio di uguaglianza tra i sessi nella nostra Costituzione e, dopo, alla tenace difesa di quella conquista. Che fine ha fatto l’art. 3 Cost., che sancisce la parità formale e sostanziale di tutti i cittadini di entrambi i sessi. È stata dimenticata la strenua battaglia compiuta dalle donne costituenti (21 su 556), che vanno ancora ringraziate per l’eliminazione di qualunque riferimento alle attitudini delle donne nel ambito della giustizia. Siamo arretrati a passi da gigante a ritroso persino rispetto al 1946, riguardo alla Costituzione che garantisce le pari opportunità nelle cariche pubbliche, oltre a prevedere la presenza dei membri laici, per creare una sinergia fra la magistratura e gli altri poteri dello stato. Sinergia, ci si consenta che non può prescindere dal contributo di entrambi i generi. L’attuale Parlamento è più indietro di tutti quelli che a partire dal 1981, quando sono state per la prima volta elette due donne nel CSM, dove mancavano le togate, hanno sempre espresso donne fra gli eletti, così come hanno fatto ben altri sei successivi Parlamenti.

Non occorre (non dovrebbe occorrere ….) ricordare che fu proprio il Parlamento a voler imprimere una ulteriore svolta in materia, approvando, nel 2003, una riforma dell’art. 51 Cost. volta a fare delle pari opportunità tra i sessi un obiettivo da perseguire anche mediante l’adozione di apposite misure statali. E come a seguito di tale innovazione, sia il legislatore sia i giudici, in primis quello costituzionale, abbiano manifestato una crescente attenzione al problema. Basti qui richiamare la giurisprudenza costituzionale che ha salvato le misure antidiscriminatorie introdotte con legge al fine di favorire l’elezione di donne nelle Assemblee elettive. O ancora la copiosa giurisprudenza amministrativa – culminata in una importantissima presa di posizione da parte dello stesso Giudice costituzionale – sulla composizione delle Giunte regionali e degli enti locali. È in queste pronunce, che hanno annullato atti di nomina assessorile aventi l’effetto di formare Giunte a forte impronta maschile, che ha preso forma l’idea che l’assenza di donne da tali organi costituisca, oltre che un vulnus costituzionale, un elemento di “malfunzionamento”.

Non occorre, infatti, (non dovrebbe occorrere …) ricordare che l’assenza o la sotto-rappresentazione del genere femminile negli organi decisionali non è solo contraria al più basilare divieto di discriminazione, ma è contraria all’interesse stesso di quegli organi, che si vedono privati della possibilità di decidere sulla base di un confronto tra sensibilità, punti di vista e modi di pensare espressivi dei due fondamentali modi di essere della persona.

La scelta di 21 uomini su 21 cariche è anche contraria ai numeri. Non è invero dato comprendere come possano non essere nominate donne nei consigli di Autogoverno della magistratura, sebbene le magistrate siano il 53%, lievemente di più che nell’avvocatura, ove le avvocate sono a livello nazionale il 47,8% (dati Cassa Forense).

Non è dato comprendere come il Consiglio di Presidenza della Giustizia tributaria a cui compete fra l’altro disciplinare i CUG (Comitati Unici di Garanzia per le pari Opportunità, volti alla valorizzazione del benessere di chi lavora e contro la discriminazioni) possa debitamente provvedervi senza il contributo di componenti di entrambi i generi, non potendosi nemmeno immaginare che debbano/possano contribuirvi solo le poche magistrate tributarie elette dai loro colleghi, in assenza di quelle elette dal Parlamento.

Per non parlare di tutte le materie di rispettiva competenza di ciascun Consiglio, rispetto a cui non può mancare il punto di vista del genere femminile.

Per questo, l’elezione da parte delle Camere - nel 2018 -, di soli uomini che, insieme ai membri c.d. “togati” espressi dalle diverse categorie, andranno a comporre gli organi incaricati di decidere delle carriere dei Magistrati e a tutelarne l’indipendenza, non può che destare fortissima preoccupazione.

Non è una questione di genere. È una questione di democrazia compiuta, a cui devono necessariamente partecipare, sia gli uomini che le donne, così come previsto dalle Leggi. n. 215 del 23.11.2012, recante disposizioni per promuovere il riequilibrio di genere nei consigli e nella giunte degli enti locali e nei consigli regionali, dalla n. 65 del 22.04.2014, per le elezioni del Parlamento Europeo, dalla n. 20 del 15.02.2016, sull’equilibrio della rappresentanza fra uomini e donne nei consigli regionali, nonché dalla Legge elettorale n. 165 del 3.11.2017, che disciplina la rappresentanze di genere nelle liste per le elezioni della Camera dei deputati e del Senato.

Pur non condividendo l’imposizione ab origine delle quote di genere, che si sono rivelate però utili per l’Avvocatura (Legge n. 247/2012) e nei Consigli di Amministrazione delle Società Quotate e Partecipate (Legge 12/2011), le quote rosa forse ci potranno salvare dalla cecità degli parlamentari che non vedono le donne e quindi nemmeno le includono fra i candidati, determinando il distorto risultato finale dell’inconcepibile nomina di 21 uomini su 21 consiglieri.

Giovanna Fantini (Delegata Cassa Forense) Marilisa D’Amico (Costituzionalista Università Statale di Milano)

Con l’adesione di Carla Marina Lendaro ADMI Associazione Donne Magistrato Italiane; Maria Masi Consigliera CNF Coordinatrice della rete dei Cpo degli Ordini degli Avvocati; Cecilia Barilli Coordinatrice della Commissione Pari Opportunità di Cassa Forense ; Immacolata Troianiello, Cda Cassa Forense Diana De Marchi, Presidente Commissione P.O. Comune di Milano

26 luglio 2018 (modifica il 26 luglio 2018 | 21:48)

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