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Piera Banti, la signora del “codice rosa” che aiuta le donne (e non solo) violentate - Cronaca

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

il medico

FLAVIA PICCINNI

Ci sono destini che portano le loro tracce nell’infanzia. È questo il caso di Piera Banti, capelli lunghi e fluenti, sorriso gentile.

Lei che da bambina, con la sorella, giocava a fare il “il dottore che operava” e che dopo essere nata a Porto Ercole, ed essere cresciuta sul mare, ha scelto l’entroterra.

Adesso vive in Garfagnana, ed è responsabile del Pronto Soccorso della Valle del Serchio a Castelnuovo. Dal 2012 è poi impegnata come Responsabile per le strutture di Pronto soccorso di Lucca e Castelnuovo nell’ambito del progetto Codice Rosa, percorso dedicato a chi subisce violenze e arriva in Pronto Soccorso.

«Sono nata – mi racconta - nel 1968. Ho frequentato il liceo classico di Orbetello, e poi mi sono trasferita a Pisa dove mi sono laureata in Medicina. Dopo ho frequentato la scuola di specializzazione di chirurgia d’urgenza, e poi di chirurgia generale sempre a Pisa con l’idea di fare il Chirurgo. Ricordo ancora il giorno in cui andai a iscrivermi all’Università di Pisa. Appena entrai in quel vecchio edificio che è la clinica medica all’Ospedale Santa Chiara, rimasi affascinata dalle mura antiche e da quei luoghi dove erano passati tanti futuri medici carichi di aspettative e sogni per il futuro, e tanti autorevoli insegnati che hanno fatto grande la medicina italiana. Lì ho davvero capito di aver fatto la scelta giusta per la mia vita. Quello che volevo veramente fare era aiutare gli altri».

Ed è esattamente quello che Banti continua a fare. Giorno dopo giorno. «Ogni garfagnino - continua - ha avuto l’occasione di passare almeno una volta per l’Ospedale di Castelnuovo, per un’emergenza, per un parente, per un amico. La prima volta che vi misi piede, ricordo che notai la mancanza di uno spazio dove accogliere nel rispetto della privacy e con riservatezza chi aveva subito violenza, e che mancava una sala di attesa interna per i pazienti in visita».

Entrambe le cose, dopo una richiesta all’azienda sanitaria, sono state risolte e l’attenzione nei confronti delle donne in difficoltà non è mai stata così alta.

«L’obiettivo – prosegue Banti - è definire le modalità di accesso e il percorso socio-sanitario, in particolare nei servizi di emergenza, delle donne vittime di violenza di genere e delle vittime di violenza causata da vulnerabilità e discriminazione. Vengono inoltre anche definite le modalità di allerta ed attivazione dei successivi percorsi territoriali, nell’ottica di un continuum assistenziale e di presa in carico globale. Il percorso può comunque essere attivato in qualsiasi modalità di accesso al sistema sanitario nazionale, sia esso in area di emergenza-urgenza, ambulatoriale o di degenza ordinaria. Il percorso opera in sinergia con enti, istituzioni ed in primis con la rete territoriale del Centro antiviolenza, sempre in linea con le direttive nazionali e internazionali. Rappresenta il risultato della messa a regime degli assetti organizzativi necessari all’inserimento di questa tipologia di risposta nel sistema complessivo dell’offerta del Sistema sanitario regionale, quale evoluzione della fase progettuale avviata a Grosseto nel 2010. La Rete è costituita da tutti i nodi che concorrono alla erogazione di risposte sanitarie, in emergenza e nell’immediata presa in carico successiva, per le diverse tipologie di vittime di violenza mediante percorsi specifici dedicati».

Il mondo che Banti mi descrive – fatto di «strutture di Pronto soccorso con personale formato dal 2012 nell’accoglienza, ascolto e supporto alle vittime» - mi lascia senza parole. Mette in fila numeri, dati e rilevazioni che mostrano una provincia inaspettata.

«Le violenze si concentrano soprattutto su donne, bambini e anziani. L’abuso nei confronti dell’anziano, psicologico e fisico, ma anche sotto forma di reato economico-finanziario e addirittura sessuale, è un problema diffuso, ma sottostimato e poco conosciuto. Il 4-6% della popolazione anziana subisce abusi all’interno della propria abitazione e in due casi su tre gli abusanti sono membri della famiglia. Spesso non si denuncia, ma è doveroso farlo. È doveroso che sia le vittime sia le persone che assistono a questi soprusi denuncino il reato alle forze dell’ordine. Anche i bambini, così come gli anziani, non riescono a denunciare e spesso sono oggetto di incuria o ipercura. Dal 2012 ad oggi ne abbiamo visti circa 270 nei nostri Pronto soccorso e nella maggior parte dei casi i maltrattamenti e gli abusi erano intrafamiliari».

Numeri che mostrano ciò che uno non si aspetta. Banti è anche consigliera dell’Ordine dei Medici della provincia di Lucca ed è membro delle Pari Opportunità dell’Ordine e della Provincia di Lucca, che tanto si sta impegnano nella formazione contro la violenza organizzando convegni e seminari per medici, e non solo.

«Le donne – continua - rappresentano circa l’85% dei nostri pazienti. Dal 2012 ad oggi abbiamo avuto 1.200 accessi codice rosa. La violenza di genere è un problema strutturale e culturale, una limitazione della libertà femminile che diviene impedimento dell’esercizio dei diritti di cittadinanza e che influenza la difficoltà delle donne nel raggiungere una consapevolezza della discriminazione e degli impatti di questa sulla vita loro e dei loro figli. Attualmente ovunque si parla di violenza di genere, ma dietro al conformismo ci sono ancora tanti pregiudizi. L’unica arma efficace che abbiamo a disposizione è la conoscenza e la formazione di chi si occupa di violenza. Uscire

dalla violenza è un percorso doloroso e spesso lungo, dove la donna deve rivivere, anche solo con il racconto, momenti dolorosi e deve essere accompagnata e sostenuta perché potrebbe non farcela da sola».

Per questo serve tendere una mano. Sempre. Comunque. —

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