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"Caso Feltri", lo scossone di Demi Arena: "Basta piangersi addosso, mobilitiamoci per non essere più sudditi"

Scritto da Google News. Postato in Pari Opportunità

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*di Demi Arena, ex sindaco di Reggio Calabria – Anch’io ho provato indignazione ascoltando le farneticazioni di un giornalista “polentone” che negli ultimi anni è sprofondato nella putrida palude della tv spazzatura, che fa il personaggio utilizzando un linguaggio fondato sul turpiloquio, diffondendo una cultura di stampo omofobo e razziale.

Anch’io ho avuto l’istinto di sfogarmi sui social a difesa della mia terra, del mio orgoglio di essere Meridionale. Ho represso l’istinto ritenendo che quello che Feltri, con la connivenza di Giordano, ha detto sia tanto grave e volgare da non meritare la mia attenzione. Per dirla in maniera più colorita: “Non me lo sono filato”, assumendo una posizione di superiorità intellettuale che non mi appartiene. Navigando sulla rete ho rilevato, con profonda soddisfazione, l’unanime indignazione del popolo meridionale, finalmente unito e orgoglioso delle proprie origini. Così come mi ha piacevolmente sorpreso la presa di posizione della politica, eccezionalmente coesa a difesa della propria comunità, a prescindere dalle appartenenze. Col passare del tempo, però, il trasporto emotivo ha lasciato il posto ad un’amara riflessione che ha generato l’ interrogativo: perché noi reagiamo e facciamo squadra SOLO quando siamo attaccati a livello personale ed offesi per via delle nostre origini? Mi domando come mai un popolo che da settant’anni subisce ogni genere di sopruso, che è stato privato dei fondamentali diritti civili, che accetta supinamente che i propri giovani siano costretti ad andare via, che viene dipinto come una comunità malata, geneticamente intrisa di cultura mafiosa, non si sia mai indignato, non abbia reagito, sia rimasto indifferente, accettando tutto supinamente. Non riesco a darmi una spiegazione, ma solo a pormi interrogativi : sarà perché siamo culturalmente sudditi e ci siamo assuefatti al brutto, al degrado, a vivere in condizioni di povertà? Considerato che, continuando a pormi interrogativi, corro il rischio di cadere in uno stato di rassegnazione che non mi appartiene, cerco di darmi delle motivazioni che, però, acuiscono il pessimismo. Riesco a trovare una via d’uscita e a riacquisire la mia naturale condizione mentale, il mio modo di essere positivo e costruttivo, solo pensando che forse è giunto il momento di mettere un punto, pensando che questa fase drammatica che stiamo vivendo possa costituire una svolta. Perché storicamente i grandi eventi drammatici determinano fasi di profondi cambiamenti. Credo che ci siano le condizioni per innescare un sussulto, per mobilitare le coscienze e dare sfogo alla voglia di riscatto che oggi potrebbe essere deflagrante. Oggi , che siamo stati costretti a fermaci per combattere un virus subdolo e spietato, credo sia giunto il momento di puntare i piedi, di smetterla di piangerci addosso. Credo fermamente che sia giunto il momento di elevare il livello della protesta, di unirci, di fare squadra per rivendicare i primari diritti alla salute, al lavoro, alla mobilità, di pretendere condizioni di pari opportunità per poter disegnare un progetto di sviluppo socio-economico fondato sulle preziose risorse della nostra Terra. Pensare di uscire da questo incubo soltanto per tornare ad essere e a fare quello che eravamo e facevamo prima della pandemia sarebbe deleterio, torneremmo ad essere sudditi. Mobilitiamoci, combattiamo affinché nulla DEBBA essere più come prima.

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