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Bei, Fei e Feis. Una "troika" salva-Europa

Scritto da Google News. Postato in Pari Opportunità

Nel mio precedente intervento ho avuto modo di dire che non serve un Piano Marshall, ma un Piano Delors/Draghi e che per contrastare la pandemia di Coronavirus, con Bei e Fei, l’Europa potrebbe mobilitare 1000 miliardi. Ho accentuato il ruolo delle complementarietà tra pubblico e privato da un lato e tra economia monetaria e economia reale dall’altro, per superare la terribile crisi in cui siamo. Jacques Delors, che fu presidente della Commissione europea per tre mandati dal 1985 al 1995, contribuì con Helmut Kohl e Francois Mitterrand (un terzetto eccezionale!) a una svolta storica nella costruzione europea. Non tutto quanto fatto dal presidente Delors è condivisibile, ma la sua impostazione per un’Europa comunitaria orientata al XXI secolo è cruciale. Per questo ne tratto qui.

Jacques Delors: crescita, competitività e occupazione

Una sintesi dei programmi di Delors, non pochi realizzati ed altri prefigurati, si trova nel Libro Bianco del 1993: “Crescita, competitività e occupazione. Le sfide e le vie da percorrere per entrare nel XXI secolo”. Da questo Libro Bianco si dovrebbe ripartire sia per l’impostazione pragmatica istituzionalmente mista Federalista-Confederalista-Funzionalista della costruzione europea, sia per tenere salde le potenzialità e le finalità dell’economia reale e strutturale europea.

Delors volle il Libro Bianco per “prendere le decisioni - decentrate, nazionali o comunitarie - che ci permettano di creare la basi di uno sviluppo sostenibile, di lunga durata, delle economie europee, mettendole in grado di far fronte alla concorrenza internazionale e creando al tempo stesso milioni di posti di lavoro necessari”. In altri termini per “una nuova sintesi tra gli obiettivi che la società persegue (il lavoro come fattore d’integrazione sociale, la pari opportunità) e le esigenze dell’economia (la competitività e la creazione di posti di lavoro)”.

Il Libro Bianco declina così le politiche sia per la competitività globale sia per lo sviluppo intraeuropeo equilibrato fatto dal mercato interno, ma anche dagli investimenti nelle reti infrastrutturali transeuropee, nella ricerca scientifica e nella tecnologia, nell’istruzione, nella digitalizzazione e nelle biotecnologie, nella transizione alle tecnologie pulite e al risparmio delle risorse. Sono programmi di 30 anni fa che anticipano il XXI secolo.

Bei, Fei e Feis: investimenti, infrastrutture, innovazione

Per coniugare pubblico e privato, economia reale e finanziamenti, investimenti e infrastrutture la Ue ha già a disposizione due “enti” forti e rodati e un terzo ben avviato. Si tratta della Banca Europea Investimenti (Bei), del Fondo Europeo per gli Investimenti (Fei) e del Fondo Europeo per gli Investimenti Strategici (Feis). Anche Delors considerava Bei e Fei per i suoi programmi. Sono strumenti oggi più potenti e da potenziare per affrontare la crisi. Di questo dobbiamo interessarci, non del “Piano Marshall” del 1947!

La Bei, fondata nel 1957, ha come azionisti gli Stati membri dell’Ue per un capitale sottoscritto di 243 miliardi di euro con Francia, Germania e Italia in quote eguali di quasi il 20% (dopo l’uscita del Regno Unito) ovvero quasi il 60%. Quarto azionista è la Spagna con l’11,5% e poi si scende a circa il 5% di Olanda, Belgio e Polonia. Ha fondi propri per 71 miliardi, ha in atto quasi 600 miliardi di prestiti di cui circa 100 da erogare, una raccolta sul mercato di 450 miliardi con emissioni obbligazionarie che hanno una solidità quasi ineguagliata al mondo. Nel 2019, con 63 miliardi di prestiti (a cui vanno aggiunti 10 miliardi del Fei) ha mobilitato 280 miliardi di investimenti. I prestiti vanno per il 90% a operatori pubblici e privati di Paesi Ue. Le deliberazioni della Bei sono prese tutte a maggioranza, più o meno qualificata, e questo dà agli Stati più grandi maggiore peso.

Il Fei, creato nel 1993, di cui la Bei detiene il 59,1%, completa l’azione della Bei a supporto del sistema delle piccole e medie imprese europee, provvedendo a fornire agevolazioni di accesso al credito che integrano e facilitano l’accesso al mercato dei capitali. Tra gli strumenti di finanziamento, il Fei adotta anche quello della partecipazione ai fondi di venture capital ed equity.

Il Feis è stato varato con il Piano Juncker del 2015 per riportare gli investimenti nella Ue ai livelli pre-crisi 2008 quindi a una quota sul Pil Ue del 22-23%. Con un complesso meccanismo di garanzia e di prestiti Bei e della Commissione Europea per circa 30 miliardi si stima che abbia già mobilitato circa 350 miliardi di investimenti pubblici e privati con un moltiplicatore quindi molto alto. Al 2020 si stima di arrivare a 500.

Bei, Fei e Feis, specie se coordinati, diverrebbero cruciali per affrontare unitariamente la crisi che colpisce l’Unione europea e l’Eurozona.

Bei, Fei e Feis per il rilancio economico strutturale europeo

Azzardo allora una proposta di potenziamento della Bei e del Fei e quindi del Feis per una vera politica di economia reale “infrastrutturale” della Ue e area euro. Ipotizzo tre direttrici.

1) Bei-Fei come banche di investimento, ma anche come Holding. Gli Stati azionisti dovrebbero versare il capitale sottoscritto, ma non ancora versato (circa 220 miliardi) e aumentandolo conferendo (a stime peritali) azioni di società a maggioranza pubblica e/o di Casse Depositi e Prestiti Nazionali nei settori strategici di economia reale (infrastrutture, energia, Ict, intelligenza artificiale, ecc). La Bei diventerebbe in molti casi azionista di controllo di grandi aziende strategiche e infrastrutturali europee di cui potrebbe coordinare l’azione anche sullo scacchiere mondiale. Potrebbe anche assumere partecipazioni in imprese da potenziare. Le spezzettature per le regole della concorrenza (come il ridicolo divieto alla fusione di Siemens e Alstom) riducono talvolta le economie di scala e quindi il potenziale di innovazione e di riduzione dei costi. Airbus non sarebbe nata senza un consorzio di imprese franco-tedesche in forma di gruppo europeo d’interesse economico. Così come non sarebbe nato il Cern.

2) Bei-Fei come emittente di EuroUnionBond. Aumentare le sue emissioni obbligazionarie che potrebbero essere acquistate direttamente dalla Bce superando alcuni vincoli di acquisto all’emissione e di quote massime acquistabili di ogni emissione. Attualmente la Bce detiene già circa 230 miliardi di obbligazioni sovranazionali di cui la quota maggiore dovrebbe essere di Bei.

3) Bei-Fei come finanziatore e garante di investimenti pubblici e privati. Investimenti sia ai settori infrastrutturali europei e nazionali, sia ai sistemi produttivi, sia ai sistemi socio-sanitari tramite le Casse Depositi e Prestiti e il sistema bancario. Anche il Feis incluso nel sistema Bei-Fei ne verrebbe potenziato.

In definitiva. Tutta l’economia reale dell’area euro, che è solida e diffusa, verrebbe potenziata a scala mondiale dove singoli Stati europei sono forti solo in alcuni settori. L’apporto dell’Italia sarebbe marcato.

Sogni e Programmi, Azioni e Realtà

Quanto sopra apparirà un sogno. Eppure la storia della costruzione europea dimostra come la sequenza del mio titolo si è talvolta concretizzata. L’esempio più recente è quello della Bce di Mario Draghi la cui competenza e visione sia per formazione scientifica che per esperienza operativa va ben oltre quella di pur rispettabili amministratori di Fondi europei che difficilmente possono fare innovazioni strategiche.

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