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Per un’ Europa Sociale – iMille

Scritto da Google News. Postato in Pari Opportunità

di Massimo Ungaro.

iMille ricevono e pubblicano le proposte elaborate da FutureDem per un’Europa Sociale. Oggi si parla di disoccupazione e indennita’ di disoccupazione.

Il processo di unificazione europea ha già prodotto importanti e ormai irrinunciabili risultati per i suoi cinquecento milioni di cittadini. Viviamo da sessant’anni in pace e godiamo di un progressivo aumento delle nostre libertà e dei nostri diritti, che hanno trovato anche formale riconoscimento nei trattati. Troppo spesso però l’Europa è percepita come sinonimo di austerità, riforme strutturali o vincoli di bilancio, mentre diritti, lavoro, dignità devono essere tra le fondamenta della nostra casa comune. Ora più che mai è urgente individuare nuove risposte capaci di incidere nella sfera dei diritti sociali, prima risposta da offrire contro l’emergenza dei populismi, che insidiano gli strati più deboli delle nostre società, come i milioni di NEET sparsi per tutta Europa

Il contesto politico dell’Europa Sociale

Combattere la disoccupazione e la marginalizzazione, promuovere la coesione e la convergenza, assicurare i diritti e le pari opportunità: sono le priorità individuate nella Dichiarazione di Roma del 25 marzo 2017, che ha opportunamente rilanciato l’Europa sociale come complemento indispensabile del mercato unico e dell’integrazione economica.

Un mese dopo, la Commissione europea ha adottato la proposta di pilastro europeo dei diritti sociali, frutto di più di un anno di consultazioni pubbliche. Il pilastro stabilisce 20 principi e diritti fondamentali per sostenere il buon funzionamento e l’equità dei mercati del lavoro e dei sistemi di protezione sociale. Nelle intenzioni, esso è destinato a servire da bussola per un nuovo processo di convergenza verso migliori condizioni di vita e di lavoro in Europa. Il pilastro è concepito principalmente per la zona euro ma è applicabile a tutti gli Stati membri dell’UE che desiderino aderirvi.

Il Pilastro sociale potrebbe, così, essere un primo passo per perfezionare l’acquis sociale europeo. Per arrivare a questo risultato, tuttavia, serve assicurare al pilastro un ampio sostegno politico. Da parte del Parlamento europeo, anzitutto, che ha già approvato un’ambiziosa risoluzione in questo senso. E da parte degli Stati membri, che ne discuteranno in sede di Consiglio UE e al vertice sociale di Goteborg organizzato dal Governo svedese con il Presidente della Commissione europea.

Le proposte di FutureDem

Dopo la prima crisi della moneta unica e alla luce dei principi del  pilastro sociale della Commissione Europea, è il momento opportuno per rilanciare l’Europa Sociale anche attraverso proposte concrete quali:

  1. L’introduzione di una indennità di disoccupazione europea
  2. Una politica giovanile europea centrata su formazione e mobilità
  3. Una supervisione europea contro gli stages non retribuiti
  4. L’elaborazione di nuove tutele per i lavoratori dell’economia collaborativa
  5. Un doppio mandato per la BCE: stabilità dei prezzi e piena occupazione 

 L’indennità di disoccupazione europea: se non ora quando

La crisi del debito sovrano in Europa ha dimostrato che il mercato unico, la libera circolazione dei lavoratori e una politica monetaria comune da soli non sono sufficienti per assorbire gli shock economici esogeni. La crisi finanziaria ha avuto un impatto sociale asimmetrico sui diversi Stati dell’eurozona: abbiamo assistito a una divergenza, non soltanto in termini di crescita ma soprattutto in termini di disoccupazione. Tra il 2009 e il 2014, la disoccupazione, specie quella giovanile,  è esplosa in Paesi come la Spagna e la Grecia, fortemente aumentata in Italia e Portogallo, e addirittura diminuita in Paesi come la Germania e l’Austria. Questa divergenza mette a rischio la sopravvivenza dell’Euro e con esso, dell’Unione Europea cosi come la vogliamo. Nel lungo termine, infatti, l’unione monetaria non ha futuro senza una integrazione fiscale e politica. Gli ultimi dieci anni di crisi, inoltre, hanno dimostrato che l’assenza di stabilizzatori macroeconomici mette a repentaglio l’Euro anche nel breve e medio termine.

La Disoccupazione nell’Eurozona:

Centro v Periferia (Eurostat, 2014)

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I fondatori dell’Euro erano coscienti della necessità di redistribuzione dal ‘centro’ alla ‘periferia’. L’analisi economica spaziale ci mette in guardia sul rischio che il ‘centro’ dell’unione, beneficiando  della sua posizione, continui a specializzarsi in settori industriali innovativi e ad alto contenuto tecnologico avanzando più velocemente di quanto la periferia si possa sviluppare per colmare il divario.

Per questo motivo negli anni ’90 furono introdotte le politiche di coesione e i fondi strutturali europei, trasferimenti permanenti alle regioni d’Europa meno sviluppate per progetti di sviluppo specifici. Le politiche di investimenti strutturali, tuttavia, sono troppo lente per reagire alle recessioni e non sono anti-cicliche: dipendono da una programmazione su più anni, da un budget predefinito e dalla capacità degli enti locali di saper usare i fondi.

Al contrario una indennità di disoccupazione europea (IDE)  sarebbe uno strumento ideale in quanto stabilizzatore automatico[1]: i nuovi disoccupati riceverebbero immediatamente un’indennità prestabilita pari a una proporzione del loro ultimo stipendio per un periodo predefinito. È uno strumento anti-ciclico per definizione nel senso che la sua erogazione è slegata dall’immediata capacità dello Stato di finanziarlo in quanto finanziata dalla  fiscalità generale.

Un’IDE finanziata con tasse dirette per esempio agirebbe da freno durante le fasi di crescita grazie alle maggiori tasse imposte ad aziende e lavoratori e da ammortizzatore durante le recessioni grazie all’immediata erogazione dell’indennità a chi perde il lavoro, sostenendo la domanda.

Inoltre, un trasferimento europeo di sostegno al reddito in tempo di crisi esprimerebbe un forte messaggio di solidarietà, contro l’idea che l’Unione sia solamente un’area di libero scambio per beni e capitali, un argomento che tuttora alimenta i populismi anti-europeisti. Grazie a un elevato moltiplicatore fiscale –molti studi lo stimano in una forbice tra 1.5 e 3.07 [2] – l’IDE andrebbe a sostenere direttamente il reddito dei lavoratori vittime della crisi e avrebbe un impatto positivo per l’economia .

Non si tratta di un’idea nuova. Il rapporto Marjolin introduceva la necessitá di un Community Unemployment Benefit già nel 1975 e l’opportunità di un European Unemployment Benefit Scheme era una delle proposte dello scorso semestre di Presidenza italiana dell’UE, recentemente rilanciato dal MEF.  Sembra evidente, tuttavia, che fino ad oggi sia mancata la volontà politica dei membri dell’UE.  Dal trattato di Maastricht, l’integrazione europea  sembra aver seguito le direttrici dell’agenda Delors: 1) l’implementazione del  mercato unico tramite l’unione monetaria e la libera circolazione di beni, capitali e persone; 2) la codificazione di regole comunitarie per la concorrenza; 3) l’attuazione di politiche di coesione regionale. La stabilizzazione macroeconomica non era prioritaria e fu relegata a un vago coordinamento tra gli Stati membri che non resse alla crisi del 2009. Di fronte alla più grande crisi finanziaria del dopoguerra gli Stati Membri reagirono con il Fiscal Compact e, quindi, con politiche di austerità pro-cicliche che hanno acuito la crisi fino all’intervento, peraltro tardivo, della BCE.

Si presupponeva, erroneamente, che la mobilità dei lavoratori, i mercati e la politica monetaria comune sarebbero stati sufficienti per gestire le crisi, ma l’Eurozona cosi com’è non è un’area valutaria ottimale, ossia un’area più ampia possibile dove i lavoratori si possano spostare facilmente. Ogni anno solo lo 0,14% dei lavoratori dell’UE cambia Stato, mentre negli Stati Uniti sono quasi il 2%, una mobilità 14 volte superiore[3]. La crisi ha anche dimostrato i limiti della politica monetaria comune, specie in quei Paesi dove i canali di trasmissione erano otturati come nel caso dell’Italia e del suo sistema bancario (da qui l’urgenza dell’unione bancaria e di meccanismi per risolvere le situazioni di insolvibilità e di gestione delle sofferenze). Servono, infatti, strumenti di compensazione fiscale: da qui l’opportunità politica di rilanciare adesso, la proposta di una IDE con l’appoggio di tutte le forze progressiste europee.

Per finanziare l’IDE si potrebbe ricorrere alla creazione di contributi sociali europei a carico dei lavoratori e delle aziende. In questo modo si potrebbe garantire un’IDE con termini comuni per tutti i disoccupati dell’UE, uno strumento parallelo adiacente o sostitutivo alle indennità di disoccupazione esistenti nei vari Paesi membri. Un’alternativa più realistica e politicamente fattibile è concepire l’IDE come un trasferimento aggiuntivo a quelli esistenti nei vari Paesi finanziato tramite il contributo degli Stati membri al budget comune dell’UE come una proporzione del proprio prodotto interno lordo. La scelta tra queste due opzioni, ossia tra un’IDE ‘genuina’ (finanziata da lavoratori e aziende) e un’IDE ‘equivalente’ (finanziata dagli Stati) rimane il nodo principale da sciogliere, come illustrano Ilaria Maselli, Miroslav Beblavy e Gabriele Marconi nel loro studio per la Commissione Europea del 2015 (European Unemployment Benefit Scheme: the ratinonale and challenges ahead). Nell’attuale contesto politico crediamo che un’IDE ‘equivalente’ concepito per i paesi dell’Eurozona sia più facilmente realizzabile.  Anche se dal punto di vista della teoria economica sarebbe meglio introdurlo obbligatoriamente per tutti i Paesi, l’eventuale adesione dovrà avvenire su base volontaria. Il rischio di questa soluzione è che avvenga una selezione avversa, ossia che solo i Paesi più bisognosi aderiscano. Per ridurre il disincentivo a cercare lavoro, bisognerà ben definire i criteri per l’acquisizione dell’indennità, la sua entità come proporzione dell’ultimo stipendio e la durata massima della sua erogazione. In termini di costi, prendendo un modello di IDE ‘equivalente’  al  70% dell’ultimo stipendio e una copertura dell’80% dei disoccupati, vari studi stimano il costo totale dell’IDE  tra lo 0.30 e lo 0.85% del PIL europeo, con una mediana di 50 miliardi di Euro (ovvero lo 0.6% del PIL; Dolls, 2014). Questa stima sembra compatibile con l’equivalente negli Stati Uniti, dello 0.23% del PIL, ossia 40.5 miliardi di dollari (Whittaker, 2014).

L’IDE presenta un rischio morale elevato che senza dubbio ha costituito la maggiore difficoltà per la sua attuazione: se concepito come trasferimento permanente, alcuni Membri saranno costantemente beneficiari e altri costantemente donatori, con la conseguenza che i ‘donatori’ non avranno l’incentivo ad aderire mentre i ‘beneficiari’  non avranno l’incentivo a implementare le riforme strutturali. Per aumentarne la legittimità politica l’IDE deve rimanere uno strumento di stabilizzazione anti-ciclico delle crisi di natura temporanea e non un trasferimento permanente.                                

Per questo motivo si potrebbero introdurre delle condizione predeterminate per l’attivazione dell’IDE, al fine di assicurarne un’applicazione limitata nel tempo, ad esempio usare il tasso di crescita della disoccupazione invece del suo livello assoluto: una crescita di oltre l’1% negli ultimi 12 mesi e se comunque superiore al 7% o, come suggerisce Ilaria Maselli, se il tasso di disoccupazione è superiore di oltre il 2% al tasso di disoccupazione naturale, o comunque il livello neutro per i salari, oppure un certo margine di discostamento tra la crescita del PIL e la crescita potenziale (per esempio oltre al 20%). Inoltre, per assicurare che nel lungo termine tutti i Paesi Membri non siano né netti beneficiari né netti donatori, si potrebbero introdurre dei meccanismi di ‘rimborso’(claw-back): se un Paese che contribuiva l’1% del suo PIL prima di aver beneficiato dell’IDE, a partire dall’anno dopo la fine della crisi il suo contributo verrà innalzato all’ 1.3% del PIL. Queste condizioni permetterebbero a tutti i Paesi Membri di beneficiare prima o poi dell’IDE. Ciò però non significa che i contributi nel tempo saranno neutrali, perché durante la stessa crisi un Paese potrebbe avere più necessità di usufruire dell’IDE di un altro, garantendo la sua natura di stabilizzatore automatico.

[1] Beblavý,M; Marconi, G.; Maselli, I, “European Unemployment Benefit Scheme. The rationale and the challenges ahead’, August 2015

[2] Chimerine, L., T.S. Black and L. Coffey (1999), “Unemployment Insurance as an Automatic Stabilizer: Evidence of Effectiveness Over Three Decades”, Occasional Paper No. 99-8, US Department of Labor, Washington, DC;

Monacelli, T., R. Perotti and A. Trigari (2010), “Unemployment Fiscal Multipliers”, Journal of Monetary Economics, Vol. 57, No. 5, pp. 531-558;Paper No. 99-8, US Department of Labor, Washington, DC;

[3] Zingales, L., ‘Europa si, Europa no’, 2014

iMille.org – Direttore Raoul Minetti

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