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SENTENZA TAR CONTRO COMUNE VITERBO

Scritto da Sandra Oppini. Postato in Altre

 Tribunale amministrativo del Lazio che azzerato la giunta senza donne del Comune di Viterbo, nominata nel marzo 2011, in occasione del rimpasto operato dal sindaco Giulio Marini (Pdl

il testo integrale della sentenza:

N. 00679/2012 REG.PROV.COLL.
N. 04732/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
ex art. 74 cod. proc. amm.;


sul ricorso numero di registro generale 4732 del 2011, proposto da:
SPOSETTI Ugo, CIAMBELLA Lisetta, COSCARELLI Piera, NATALINI Linda, RICCI Alvaro, FERSINI Fabrizio, GUANCINI Francesco, INSOGNA Sergio, QUINTARELLI Mario e SERRA Francesco, tutti rappresentati e difesi dagli avv.ti Nicoletta Tradardi e Xavier Santiapichi ed elettivamente domiciliati presso lo studio dei suindicati difensori (Studio legale Santiapichi, associazione tra professionisti) in Roma, Via Antonio Bertoloni, nn. 44-46;


contro


- il COMUNE DI VITERBO, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Massimiliano Brugnoletti, presso il cui studio è elettivamente domiciliato in Roma, Via Bertoloni, n. 26/b;
- MARINI Giulio, nella sua qualità di Sindaco, non costituito in giudizio;
nei confronti di ARENA Giovanni Maria, UBERTINI Claudio, ZUCCHI Sandro, CONTARDO Enrico Maria, GALATI Vittorio, FATTORINI Massimo, SABATINI Daniele, MURONI Paolo e BERTOLETTI Giovanni, nella loro qualità di assessori, non costituiti in giudizio;
per l'annullamento
- della deliberazione del Consiglio comunale di Viterbo n. 47 del 28 marzo 2011 avente ad oggetto "Comunicazioni del Presidente - (decreto di nomina della nuova Giunta ed attribuzione delle deleghe)", pubblicata all'Albo pretorio dal 6 aprile 2011;
- del decreto del Sindaco del Comune di Viterbo n. 31 del 24 marzo 2011, allegato alla delibera consiliare n. 47 del 2011, di revoca dei propri precedenti decreti nn. 17429 e 17430 del 13 maggio 2008 e n. 1 del 2 dicembre 2009 e contestuale nomina degli Assessori del Comune di Viterbo;
- del decreto del Sindaco del Comune di Viterbo n. 32 del 24 marzo 2011, allegato alla delibera consiliare n. 47 del 2011, di delega per incarichi o servizi agli assessori;
nonché
- se del caso e per quanto occorrer possa e/o in via subordinata, dello Statuto del Comune di Viterbo, nella parte in cui prevede (o dovesse essere interpretato nel senso di non prevedere) il rispetto del principio costituzionale e legislativo di pari opportunità tra uomo e donna;
- nonché di ogni altro atto connesso e/o consequenziale e/o presupposto;
nonché, in via subordinata
per la declaratoria della illegittimità costituzionale in via incidentale dell'art. 6, comma 2, del Testo unico degli Enti locali, decreto legislativo n. 267 del 2000.

Visto il ricorso con i relativi allegati;
Vista la costituzione in giudizio dell'Amministrazione comunale intimata e i documenti prodotti;
Esaminate le ulteriori memorie con i documenti prodotti;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 novembre 2011 il dott. Stefano Toschei e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Visto l'art. 74 c.p.a.;
Verificata la corretta instaurazione del giudizio e l'integrità del contraddittorio nonché la completezza dell'istruttoria;
Constatata la sussistenza dei presupposti per decidere la controversia con sentenza in forma semplificata tenuto conto dell'interpretazione giurisprudenziale ormai consolidatasi in materia;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue;

Premesso che:
- i ricorrenti, nella loro qualità di consiglieri comunali del Comune di Viterbo e di elettrici ed elettori "in possesso di tutte le condizioni per la nomina e, dunque, possibili aspiranti all'incarico assessorile" (così, testualmente, alle pagine 5 e 6 del ricorso introduttivo nonché 6 e 7 della memoria difensiva di replica), impugnano nella presente sede giudiziale alcuni decreti, meglio indicati in epigrafe, attraverso i quali il Sindaco del Comune di Viterbo, in conseguenza delle dimissioni di alcuni assessori, ha provveduto alla corrispondente nomina di nuovi componenti della Giunta (decreto 24 marzo 2011 n. 31) ed alla attribuzione delle relative deleghe (decreto 24 marzo 2011 n. 32), il tutto comunicato al Consiglio comunale con deliberazione 28 marzo 2011 n. 47;
- gli stessi ricorrenti hanno lamentato che la composizione della Giunta, per effetto dei nuovi interventi sindacali, è caratterizzata dalla presenza di rappresentanti del solo genere maschile, significando come tale scelta sia palesemente in contrasto con i principi costituzionali in materia di pari opportunità, con la prescrizione contenuta nell'art. 6 del decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 267 nonché con le norme contenute nello statuto del Comune di Viterbo ed in particolare con quanto contenuto negli artt. 2 e 3 del predetto Statuto, palesandosi di conseguenza insanibili vizi di eccesso di potere, di difetto di istruttoria e di carenza di motivazione in ordine ai provvedimenti sindacali impugnati;
- i ricorrenti chiedevano, quindi, l'annullamento degli atti gravati perché illegittimi a cagione di quanto sopra;
- si è costituito in giudizio il Comune di Viterbo contestando analiticamente le avverse prospettazioni, confermando la correttezza dell'operato dell'Amministrazione e chiedendo la reiezione del ricorso siccome proposto. In particolare il Comune resistente ha eccepito l'inammissibilità del ricorso:
• "per decadenza", in quanto nessuno dei ricorrenti - con riguardo a quelli che rivestono la carica di consigliere comunale - ha espresso manifestamente il proprio dissenso durante la seduta consiliare del 28 marzo 2011 nel corso della quale si è data lettura dei decreti qui principalmente fatti oggetto di impugnazione;
• per carenza di legittimazione dei ricorrenti che assumono tale veste in qualità di cittadini del Comune di Viterbo, "in quanto portatori unicamente dell'interesse alla legittima costituzione degli organi comunali" (così, testualmente, a pag. 5 della memoria difensiva);
• per carenza di legittimazione dei ricorrenti che assumono tale veste in qualità di consiglieri comunali del Comune di Viterbo, potendo sussistere la loro legittimazione "solo quando si contesta una lesione diretta delle (loro) prerogative, ossia del munus che viene (loro) riconosciuto dall'ordinamento" (così, testualmente, a pag. 5 della memoria difensiva, citando un precedente giurisprudenziale del TAR Sardegna);
• per carenza di interesse dei ricorrenti appartenenti al genere maschile, visto che il raggiungimento dell'obiettivo affidato al gravame, vale a dire la nomina ad assessori di appartenenti al genere femminile, non determinerebbe alcun vantaggio in loro favore;
• per carenza di interesse di tutti i ricorrenti, appartenenti ad entrambi i generi, in quanto consiglieri comunali e quindi in posizione di giuridica incompatibilità con la nomina ad assessore ex artt. 64 del decreto legislativo n. 267 del 2000 e 11 dello Statuto comunale;
• per acquiescenza, atteso che la Giunta del Comune di Viterbo è composta da soli appartenenti al genere maschile fin dal 2008;
• per insindacabilità del provvedimento di nomina degli assessori, trattandosi di "atto sindacale connotato dalla più ampia discrezionalità di carattere politico-amministrativo (che) non abbisogna di una particolare motivazione, che può anche basarsi sulle più ampie valutazioni di opportunità politico-amministrativa, rimesse in via esclusiva al Sindaco, perché avente ad oggetto un incarico fiduciario, e, pertanto, insindacabile in sede di legittimità, se non per profili di manifesta irragionevolezza od illogicità" (così, testualmente, a pag. 8 della memoria difensiva, citando precedenti giurisprudenziali del Consiglio di Stato e dei Tribunali amministrativi regionali);
- in assenza di costituzione dei controinteressati evocati in giudizio, entrambe le parti costituite hanno presentato memorie, anche di replica, e documenti confermando le già rassegnate conclusioni;
Rilevato che le eccezioni preliminari sollevate dalla difesa comunale sono infondate in quanto:
• sotto il profilo della legittimazione ad agire da parte di "possibili aspiranti all'incarico assessorile", la loro posizione acquista la rilevanza necessaria a configurare la sussistenza delle condizioni di legittimazione ed interesse strumentale all'impugnazione, con il fine di veder considerata la propria candidatura nella carica in questione. In via generale, la legittimazione al ricorso, che ordinariamente non è definita dal legislatore, è un concetto la cui enucleazione compete esclusivamente al giudice, salvi, ovviamente, i casi specifici, ma rari, ove il legislatore interviene. Enucleazione che deve avvenire sulla scorta di dati normativi e di argomentazioni giuridiche e che trova, quali unici limiti, da un lato, la non implausibilità della soluzione prescelta (limite comune a tutta l'attività interpretativa di spettanza del giudice)e, dall'altro, la giustificazione della soluzione prescelta sul piano delle tutele di situazioni giuridiche soggettive particolarmente rilevanti nel nostro ordinamento, come dimostra tutta l'evoluzione della giurisprudenza amministrativa in punto di tutela degli interessi collettivi (sul punto - ed in via generale sulle nozioni di legittimazione ad agire ed interesse ad agire - si vedano le riflessioni svolte di recente dall'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato nella sentenza 7 aprile 2011 n. 4). Posto quanto sopra, come ha già affermato la Sezione con la sentenza 25 luglio 2011 n. 6637 che qui di seguito si riproduce per ampi stralci, sono da ritenere legittimati in via generale a fare valere in sede giurisdizionale la violazione delle norme che disciplinano la formazione della Giunta comunale, i consiglieri comunali i quali, ai sensi dell'art. 47 del Testo unico degli Enti locali, possono essere nominati membri della Giunta municipale e sono in quanto tali portatori di un interesse concreto e specifico a che, nella nomina dei componenti della Giunta, vengano rispettate dal Sindaco tutte le disposizioni normative di carattere immediatamente cogente. Detto interesse, peraltro, non può essere inteso alla stregua di interesse di mero fatto, in quanto oggetto di precisa qualificazione normativa e non occorrendo, per la possibile nomina alla carica di assessore su iniziativa del Sindaco, la verifica di ulteriori specifici requisiti soggettivi. Si è già affermato in giurisprudenza che, accanto alla tradizionale legittimazione dei consiglieri comunali ad agire in giudizio ove vengano in rilievo atti incidenti sul diritto all'ufficio, deve essere riconosciuta una loro analoga legittimazione a contestare in sede giurisdizionale la legittimità dell'azione degli organi politici dell'ente di appartenenza sotto ogni profilo, in ragione di un interesse giuridicamente rilevante di ciascun consigliere comunale ad impedire che l'organo politico di riferimento istituzionale agisca in violazione di legge (cfr., in tale senso, TAR Puglia, Lecce, 24 febbraio 2010 n. 622). Ciò vale ad escludere, nel caso di specie, la fondatezza delle eccezioni di decadenza dall'azione e di acquiescenza sollevate nei confronti dei ricorrenti, che gravano gli atti qui oggetto di contestazione, nella loro qualità di consiglieri comunali. L'assunto di cui sopra va ribadito anche allorquando (come nel caso di specie) il precetto, del quale si lamenta la violazione, costituisce precipitato del principio delle pari opportunità (rectius, di identità tra i generi) e si traduce nell'obbligo, per il Sindaco, di assicurare nella formazione della Giunta l'equilibrio di genere. Nello specifico, nel caso di impugnazione di una delibera di nomina della Giunta municipale per violazione delle c.d. 'quote rosa', la legittimazione non può aprioristicamente essere ritenuta sussistente in capo ai soli consiglieri comunali di sesso femminile, considerato che la garanzia dell'equilibrio di genere anche in seno agli organismi politici esecutivi risponde ad un interesse non circoscrivibile in ragione del genere di volta in volta non adeguatamente rappresentato e, soprattutto, è affidata ad un precetto, di carattere generale e riconducibile al principio di buon andamento dell'azione pubblica, la cui violazione può per tale ragione essere contestata da ogni consigliere comunale;
• sempre sotto il profilo della legittimazione, ma sul versante della posizione dei ricorrenti che agiscono quali cittadini elettori, il ragionamento sopra seguito con riguardo ai consiglieri comunali conduce a configurare una legittimazione all'impugnazione degli atti di nomina della Giunta non circoscritta ai soli componenti dell'organo consiliare, considerato che ciascun cittadino elettore nel Comune di riferimento può essere nominato assessore anche se non eletto al Consiglio comunale. La legittimazione all'impugnazione degli atti di nomina della Giunta del Comune di Viterbo deve quindi essere riconosciuta anche a ciascun cittadino elettore del suddetto Comune, non già a titolo di azione popolare (non ricorrendo i presupposti per la configurazione di nessuna delle ipotesi tipiche di azione popolare in materia di elezione degli organismi rappresentativi e riguardando invero l'azione popolare le diverse ipotesi di legittimazione eccezionalmente riconosciuta sia pure in difetto del presupposto della titolarità di una posizione soggettiva di interesse), bensì in quanto soggetto potenzialmente aspirante alla titolarità della carica. Ne consegue che il cittadino elettore è anche portatore di un interesse concreto ed attuale all'annullamento degli atti di nomina degli assessori, adottati in violazione delle norme di legge o statutarie. La legittimazione al ricorso deriva quindi dal fatto che i cittadini elettori (nella specie) del Comune di Viterbo sono astrattamente in possesso dei requisiti per la nomina ad assessore e comunque interessati, in quanto cittadini - ciò (evidentemente) indipendentemente dal genere di appartenenza - a tutelare il principio della rappresentanza di genere. In realtà quest'ultima condizione è per sé sufficiente a consentire la proposizione del ricorso. Non è necessario infatti che il soggetto ricorrente si proponga un vantaggio personale e diretto, quale la nomina ad assessore. Una simile impostazione sarebbe anzi fuorviante, perché garantirebbe la legittimazione unicamente ai soggetti che si dichiarino disposti a collaborare a un determinato programma amministrativo, il che in definitiva discriminerebbe tra gli appartenenti allo stesso genere sulla base della manifestazione di preferenze di natura politica. L'utilità derivante dall'accoglimento del ricorso (nello specifico l'affermazione vincolante per il Comune della necessità di garantire la rappresentanza di genere all'interno della giunta) è da sola idonea a soddisfare un interesse che è proprio in eguale misura di tutti i cittadini elettori e si sostanzia nella progressiva ed effettiva espansione dell'area delle pari opportunità negli organi politici. Questo interesse ha natura collettiva ma la titolarità è ripartita singolarmente, non essendo necessaria la costituzione di un ente esponenziale. Si tratta, in conclusione, per come ha osservato di recente la Quinta sezione del Consiglio di Stato nella sentenza 27 luglio 2011 n. 4502, di "rendere giustiziabili posizioni giuridiche sempre più standardizzate e sempre meno connotate di "individualismo" (almeno in riferimento al profilo del pregiudizio subito), ampliando nei limiti del possibile i confini dell'azione processuale ed estendendola, se non a tutti i cittadini, ad una pluralità di soggetti accomunati da un'identica situazione di danno (la classe), o identificati dall'appartenenza ad un particolare contesto ambientale (es. lo stesso mercato) o fisico/spaziale (es. la vicinanza a un bene ambientale compromesso o, nel caso di specie, il sesso)";
• sotto l'asserito profilo della inimpugnabilità dei provvedimenti qui gravati, va osservato che trattasi di provvedimenti posti in essere da un'autorità amministrativa e nell'esercizio di un potere amministrativo, sia pure ampiamente discrezionale (cfr., ancora, Cons. Stato, Sez. V, n. 4502 del 2011, cit.). D'altronde l'atto di nomina di un assessore comunale non può neppure inscriversi nell'ambito della categoria degli atti politici (e perciò non impugnabile davanti al giudice amministrativo alla stregua degli artt. 31 T.U. sul Consiglio di Stato di cui al R. D. 26 giugno 1924, n. 1054 e. 7 c.p.a., in base ai quali il ricorso giurisdizionale non è ammesso se trattasi di atti o provvedimenti adottati dal Governo nell'esercizio del potere politico). Come è noto due sono i caratteri essenziali dell'atto politico, vale a dire, quello soggettivo della provenienza da un organo costituzionale e l'altro oggettivo della natura generale degli interessi perseguiti e della libertà nel fine dell'organo politico. A questi si aggiunge un ulteriore elemento di essenzialità: la mancanza di parametri giuridici alla stregua dei quali poter verificare gli atti politici. L'atto di nomina di un assessore comunale, da un lato, non è libero nella scelta dei fini, essendo sostanzialmente rivolto al miglioramento della compagine di ausilio del Sindaco e dello stesso Comune, e dall'altro è sottoposto a criteri strettamente giuridici come quello citato dell'art. 64 del decreto legislativo n. 267 del 2000, per come riproposto dall'art. 11 dello Statuto del Comune di Viterbo. Di conseguenza va confermata l'ammissibilità dell'impugnativa davanti al giudice amministrativo dell'atto di nomina di un assessore comunale, in quanto posto in essere da un'autorità amministrativa e nell'esercizio di un potere amministrativo, sia pure ampiamente discrezionale, trattandosi in definitiva di atto di alta amministrazione;
• per completezza appare utile sottolineare, quanto alla possibilità che la norma in questione abbia mera natura programmatica, come vada chiarito che il concetto di norma programmatica non è un indice negativo di qualificazione della disposizione, una sorta di degradazione di determinate norme rispetto a tutte le altre che detta qualifica, invece, non consentono. Quindi tutte le norme sono, per definizione, immediatamente precettive e quindi, nello specifico, nel rapporto tra Statuto comunale e atto amministrativo la violazione del principio base posto dallo Statuto (art. 11, cit.) da parte dell'atto amministrativo si trasforma nella violazione di un vincolo propriamente obbligatorio e diventa, dunque, fonte di illegittimità amministrativa (in tal senso cfr. Cons. Stato, Sez. V, n. 4502 del 2011 cit. nonché T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 7 novembre 2011 n. 5167, T.A.R. Sardegna, Sez. II, 2 agosto 2011 n. 864, T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 10 marzo 2011 n. 1427 e 7 giugno 2010 n. 12668, T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. I, ord.za 23 settembre 2009 n. 740.
Ritenuto nel merito che le censure dedotte dai ricorrenti nei confronti degli atti impugnati appaiono fondate alla luce delle seguenti considerazioni:
A) la questione di merito deve essere risolta tenendo conto dell'assimilazione del principio di pari opportunità di cui all'art. 51 Cost. al principio fondamentale di eguaglianza sostanziale di cui all'art. 3 Cost. e, quindi, dovendo riconoscere allo stesso natura di diritto fondamentale;
B) pertanto va riconosciuta l'immediata applicabilità del suddetto principio, inteso come parametro di legittimità sostanziale di attività amministrative discrezionali, rispetto alle quali si pone come limite conformativo;
C) l'attuazione di tale principio deve avere innanzitutto luogo attraverso l'interposizione di fonti primarie o di altro livello. Attesa la trasversalità del principio, ciascun soggetto che compone la Repubblica, dovrà darvi attuazione in considerazione degli strumenti normativi di cui dispone ed entro i limiti di competenza per materia ad esso riconosciuti;
D) non a caso principi fondamentali sono presenti in fonti statali, innanzitutto nel decreto legislativo 11 aprile 2006 n. 198 (recante il Codice delle pari opportunità tra uomo e donna) che all'art. 1, riprendendo le coordinate costituzionali, assicura la pari opportunità in tutti i campi, assegnando tale obiettivo a tutti gli attori istituzionali attraverso ogni possibile strumento di disciplina, normativo e non;
E) nel settore degli Enti locali ulteriore strumento di attuazione, nonché nodo di raccordo tra livello costituzionale e fonte subordinata, è costituito dagli statuti comunali e provinciali che, ai sensi dell'art. 6 del decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 267 (recante il Testo unico degli Enti locali), 'stabiliscono norme per assicurare condizioni di pari opportunità tra uomo e donna ai sensi della legge 10 aprile 1991, n. 125, e per promuovere la presenza di entrambi i sessi nelle giunte e negli organi collegiali del comune e della provincia, nonché degli enti, aziende ed istituzioni da essi dipendenti'. La libertà statutaria è, dunque, circoscritta entro i confini naturali dei principi posti dal tessuto costituzionale, quindi non oltre la rimozione di ostacoli all'uguaglianza sostanziale, in modo che uomini e donne siano posti nelle medesime condizioni di accesso agli uffici collegiali ed alle cariche pubbliche;
F) in siffatto contesto normativo è vero che gli artt. 46 e 47 del decreto legislativo n. 267 del 2000 riconoscono al Sindaco un ampio potere discrezionale in ordine alla scelta dei componenti della Giunta, senza che sussista uno specifico obbligo di motivazione, tuttavia, quando l'ambito di estensione del potere discrezionale, anche quello amplissimo che connota un'azione di governo, è conformato da vincoli o indirizzi che ne segnano in parte l'esercizio, sebbene non in termini di risultato, costituisce requisito di legittimità formale e sostanziale l'illustrazione delle ragioni e delle modalità con cui il potere è stato speso rispetto a quel determinato parametro di conformazione;
G) quanto al potere di sindacato del giudice amministrativo, l'indagine circa la verifica del corretto esercizio del potere per come attribuito dalla fonte primaria, con riferimento ai principi costituzionali, nonché in ordine alla corrispondenza rispetto alle modalità di esercizio pretese dalla norma di riferimento non può essere impedita ed è dunque senz'altro consentita al giudice di legittimità, non trattandosi di sindacare l'opportunità della scelta, ma l'osservanza effettiva di un limite al potere, atteso che in questa direzione la natura politica della scelta incontra il limite esterno del principio di pari opportunità;
H) conseguentemente le norme relative all'accesso ai pubblici uffici e alle pubbliche funzioni contenute in uno Statuto comunale (nella specie lo Statuto del Comune di Viterbo che, all'art. 11, riproduce pedissequamente il disposto dell'art. 6 del decreto legislativo n. 267 del 2000), vanno interpretate nel senso di non inibire l'effettiva attuazione del principio costituzionale di pari opportunità in occasione della nomina dei componenti della Giunta;
I) da ciò deriva che deve ritenersi illegittimo il decreto di nomina degli assessori - nella specie tutti di sesso maschile - di una Giunta municipale nel caso in cui, da una parte, non emerga, dalla relativa motivazione, che sia stata compiuta la necessaria attività istruttoria volta ad acquisire la disponibilità alla nomina di persone di sesso femminile, e, dall'altra, non sia stata esternata adeguata motivazione in ordine alle ragioni della mancata applicazione del principio delle pari opportunità di cui all'art. 51 Cost. (e ciò analogamente nel caso in vi sia un evidente squilibrio di genere tra i componenti nominati a far parte della Giunta senza che tale risultato sia il frutto di una adeguata istruttoria e di una sufficiente esternazione dei motivi che hanno provocato e che giustificano tale squilibrio).
Perché, dunque, un decreto di nomina degli assessori di un Comune sia legittimo e quindi rispetti la portata precettiva dell'art. 51 Cost. occorre che emergano compiutamente i seguenti elementi:
• lo svolgimento di una preventiva e necessaria attività istruttoria preordinata ad acquisire la disponibilità allo svolgimento delle funzioni assessorili da parte di persone di entrambi i generi;
• una adeguata motivazione sulle ragioni della mancata applicazione del principio di pari opportunità sancito dall'art. 51 della Costituzione.
Tale ricostruzione interpretativa delle norme costituzionali e non applicabili alla procedura di nomina degli assessori di una Giunta municipale non tende necessariamente (non costituendo una adeguata interpretazione della volutas legis) ad imporre al Sindaco di realizzare obbligatoriamente la parità (numerica) di genere nella nomina dei componenti della Giunta, ma impone, questo sì, che la verifica preventiva volta ad individuare i soggetti nominabili sia effettuata con un serio approccio non preclusivo verso gli appartenenti dell'uno ovvero dell'altro genere. Il corretto esercizio del potere di nomina sindacale, dunque, potrà apprezzarsi solo se si possa dimostrare lo svolgimento di una accurata istruttoria e solo quando la nomina dei componenti sia accompagnata da una adeguata esternazione delle ragioni che hanno indotto il Primo cittadino ad operare la scelta dei suoi collaboratori con riferimento al genere di appartenenza. Le coordinate applicative tracciate nelle osservazioni che precedono, tenuto conto dell'architettura delle disposizioni (costituzionali e di fonte primaria nonché statutarie) applicabili alla procedura di nomina dei componenti di una Giunta municipale, per come sopra riproposte, appaiono realizzare, secondo l'opinione del Collegio (ma anche ad una ampia quota di avvisi giurisprudenziali che si sono specificamente occupati della questione qui in esame, cfr. tra i tanti e da ultimo Cons. Stato, Sez. V, n. 4502 del 2011, cit. e TAR Campania, Napoli, Sez. I, n. 1427 del 2011, cit.), il giusto punto di equilibrio tra l'ampia discrezionalità che connota il potere sindacale di nomina assessorile ed il rispetto del principio della identità di genere quale condizione costituzionalmente tutelata per l'accesso agli uffici collegiali ed alle cariche pubbliche;
Affermato pertanto che, per tutte le ragioni sopra esposte, i motivi di ricorso sono fondati e che dunque il gravame va accolto con annullamento degli atti impugnati;
Stimato che le spese, ai sensi dell'art. 91 c.p.c. per come richiamato dall'art. 26, comma 1, c.p.a., seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo nella misura complessiva di € 3.000,00 (euro tremila/00), oltre alla restituzione del contributo unificato se versato, mentre le spese vanno compensate con riferimento ai controinteressati non costituiti in giudizio;
P.Q.M.
pronunciando in via definitiva sul ricorso indicato in epigrafe, lo accoglie e, per l'effetto, annulla gli atti impugnati.
Condanna il Comune di Viterbo, in persona del Sindaco pro tempore, a rifondere le spese di giudizio in favore dei ricorrenti, per come meglio indicati in epigrafe, che liquida in complessivi € 3.000,00 (euro tremila/00), oltre accessori come per legge nonché alla restituzione del contributo unificato se versato.
Spese compensate con riferimento ai controinteressati.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella Camera di consiglio del giorno 23 novembre 2011 con l'intervento dei magistrati:
Luigi Tosti, Presidente
Carlo Modica de Mohac, Consigliere
Stefano Toschei, Consigliere, Estensore


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 20/01/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)


21/01/2012 - 04:00