CENTRI ANTIVIOLENZA A RISCHIO CHIUSURA, DA MILANO A ROMA A VITERBO, LE DONNE HANNO BISOGNO D'AIUTO
I centri antiviolenza in Italia sono a rischio chiusura, nonostante l'impegno continuo degli operatori volontari che assicurano assistenza alle donne e protezione contro la violenza. Potrebbero chiudere per mancanza di fondi i Centri che fanno pare della rete Dire, la Casa delle Donne di Milano; a Roma il Casale Rosa, il Centro Donatella Colasanti e Rosaria Lopez, Il Marie Anne Erize, la cooperativa BeFree, l'Sos Donna, Ii Centro Erinna di Viterbo, e decine di altri sportelli di ascolto e tutela che hanno accolto migliaia di donne negli ultimi anni.
Di seguito il recente articolo "Centri Antiviolenza a rischio" sull'allarme del Cadmi di Milano, che denuncia come ci sia poca attenzione da parte delle istituzioni sull'importante servizio offerto, a costo di sacrifici e impegno, alle donne in pericolo.
Centri Antiviolenza a rischio
"I centri antiviolenza stanno facendo lo stesso percorso delle donne maltrattate, che hanno messo in atto una rivoluzione positiva, scegliendo di ribellarsi nonostante i rischi che questo comporta" racconta Marisa Guarneri, fondatrice nel 1986 della Casa delle donne maltrattate di Milano (CADMI). E continua: "Lo Stato italiano, invece che affiancarsi ai percorsi di libertà delle donne mette in atto provvedimenti che non sono adeguati". Il riferimento è all'iniziativa recentemente presentata dal Ministro dell'Interno Angelino Alfano, dal titolo “Questo non è amore!", che ha come finalità la creazione di un contatto diretto tra le donne e una équipe di operatori specializzati, ospitati all’interno di un camper.
"Questo intervento che rischia di deviare attenzione e risorse con iniziative pubblicitarie e inefficaci, appare ingenuo e fa sembrare l’Italia ferma all’anno zero su questi temi" dicono dal Cadmi. "I femminicidi continuano ad essere perpetrati e si sono anche trasformati in stragi (vedi lo scoppio di una palazzina a Milano in via Brioschi con tre morti), ma ai centri anti violenza arrivano sempre meno fondi pubblici e alcuni sono a rischio chiusura. I fondi stanziati per legge vengono destinati a ricerche, studi, analisi che non portano alcun risultato diretto alle donne che subiscono violenza dagli uomini".
E la risposta del Governo, in questo caso i camper della polizia, non tiene conto di un dato fondamentale: sette donne uccise su dieci avevano denunciato il loro assassino.
Il Cadmi di Milano è solo dei 75 centri antiviolenza che fanno parte della rete rete DiRe,una rete che ha cominciato il suo cammino trent’anni fa a Milano, e che condivide una metodologia di accoglienza e di ospitalità delle donne maltrattate da un uomo. Una metodologia che come principi fondamentali ha l'anonimato e la segretezza per le centinaia di donne che ogni anno si rivolgono ai centri antiviolenza. Dal 1986 il Cadmi ne ha accolte 25 mila; solo nel 2015 ne ha accolte 572 e ne ha seguite 352 con percorsi di uscita dalla violenza, svolgendo 1907 colloqui. L’età delle donne che si rivolgono a Cadmi si è abbassata con il 75% delle donne che hanno tra i 28 e i 45 anni, mentre la violenza psicologica resta quella più frequente, seguita dai maltrattamenti fisici e dai ricatti economici. Le italiane sono sempre il 67% delle donne che chiedono aiuto. E, dato essenziale, nel 76% de casi la violenza viene esercitata all’interno della relazione o da un ex partner. Numeri alti, a cui non corrispondono altrettanto alti investimenti.
Dove sono finiti i soldi? si chiede il Cadmi. Per il 2013/14 la legge 119 dell’ottobre 2013 (che stanziava 10 milioni all’anno) ha distribuito effettivamente 16 milioni e mezzo. Alla Regione Lombardia, ha spiegato l’avvocato Manuela Ulivi, presidente della Casa delle donne maltrattate, sono arrivati 2 milioni e 772 mila: 2 milioni e 722mila sono stati messi a bilancio (50mila sono "scomparsi") e sono lì, fermi, da ben 3 anni. Per il 2015/16 è stato poi indetto un bando per distribuire 12 milioni di cui ancora non si hanno notizie, né si sa dove sono finiti gli altri 8, visto che dovevano essere stanziati 10 milioni all’anno. Anche la Legge regionale 2012 stanzia dei fondi, per l’esattezza 1 milione di euro l’anno, che però vengono dati alle reti inter-istituzionali "per pagare ricercatori senza esperienza e incompetenti che dovrebbero “formare” le donne dei Centri".
I conti non tornano, ma non sono l'unico problema. Lo è anche la messa in discussione del lavoro svolto dai centri antiviolenza, il tentativo di screditare una metodologia sviluppata in decenni di esperienza e che ha consentito a moltissime donne di liberarsi dalla violenza e cominciare una nuova vita. Marisa Guarnieri parla di "stalking da parte delle istituzioni, che come tutti gli stalker ci dichiarano amore e sostegno ma di fatto cercano di controllarci, e questo controllo è dannoso per le donne".
Di fatto, moltissimi centri in tutto il paese rischiano la chiusura, me la Casa delle Donne di via Piacenza 14 a Milano lancia il suo allarme. Dobbiamo chiudere anche noi? A questa domanda le donne del Cadmi possono solo rispondere che nel 2015 per ospitalità e accoglienza sono stati spesi circa 150mila euro, mentre le entrate da parte delle istituzioni non superano i 100mila euro. La sopravvivenza del centro e dei suoi servizi è garantita solo da indebitamenti personali e lasciti.
Durante l'incontro tenutosi presso la sede del Cadmi martedì 12 luglio, il funzionario comunale dell'assessorato alle Politiche Sociali, Dario De Michelis, ha fatto presente che l’anonimato delle donne ospitate rappresenta un punto di criticità per quanto riguarda i finanziamenti, poiché rende difficile il controllo da parte dell'ente erogante sulla destinazione dei soldi pubblici. Ma il Comune, nel 1991, ottenne una deroga affinché gli indirizzi delle case che ospitano le donne restassero segreti.
E a questa segretezza la rete dei centri antiviolenza non è disposta a rinunciare, pena le sorti di quelle migliaia di donne (l’80% delle 15mila accolte ogni anno dai Centri della rete DiRe) che riescono a lasciarsi alle spalle la violenza che hanno subito. «Di fatto non compilando i dati che ci chiede la Regione ci stiamo mettendo in pericolo" conclude Manuela Ulivi. "Ma non ci stiamo più". Il che significa "un autunno caldo con un’assemblea di DiRe e una manifestazione nazionale a novembre".
ChiAmaMilano
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