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La jihad delle donne. Un libro per capire l'Islam al femminile

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

“Femministe interpretative”. È così che Luciana Capretti definisce le protagoniste del suo libro “La jihad delle donne. Il Femminismo islamico nel mondo occidentale” al Salone del Libro di Torino. Tra le pagine, “il quadro di un Islam poco conosciuto perchè femminile”, come suggerisce il giornalista Umberto La Rocca, ma ben lontano dai dibattiti sul velo e dall’associazione tra Islam, fondamentalismo e terrorismo.

Le donne raccontate da Luciana Capretti sono quelle che si assumono la responsabilità di guidare la preghiera in moschea come l’imama di Copenhagen Sherin Khankan o che stanno lottando per farlo; sono quelle che si battono per le moschee femminile; che cercano la parità di genere. Movimenti minoritari, che l’Islam tradizionale taccia di laicismo e occidentalismo, ma che ciononostante continuano a proporre un’interpretazione liberale del Corano. “Scardinando i presupposti e le presunte conoscenze, le donne possono cambiare lo sguardo su questa storia che stiamo vivendo” dice Monica Guerritore nel suo intervento.

Il libro nasce dalla proposta di Salerno Editrice a Luciana Capretti, che nel frattempo lavorava a un’indagine sulla condizione delle donne dell’Islam per Tg2 Dossier. “Io stessa inizialmente ho pensato allo stereotipo delle donne col velo” racconta l’autrice “poi ho incontrato Sherin Khankan e studiato la storia di Amina Wadud, la prima donna imama, nel 2005”. Pagina dopo pagina, il libro è diventato uno strumento “per capire che un altro Islam è possibile e che in Occidente abbiamo tanti preconcetti su questa religione”. A partire dall’esperienza del “movimento delle imame: donne che riprendono in mano il Corano, lo rileggono e lo traducono con occhi femminili”. Dopo secoli in cui l’interpretazione del Corano è stata in mani maschili, le donne hanno cercato nella complessità della lingua araba dei significati diversi, che non confliggessero con la vita del Profeta. Non senza controversie, come nel caso del versetto 34 della Sura 4, che giustificherebbe la violenza nei confronti delle donne: allontanarsi dalle donne e non picchiarle, come invece vorrebbe l’interpretazione più comune.

Il “movimento delle imame” nasce alla fine dell’800 nei Paesi islamici, con la lotta per i diritti delle donne ma ha una brusca frenata nel secolo successivo, dovuta alle grandi migrazioni. “Il movimento di cui parlo” spiega Luciana Capretti “nasce dalla coesistenza e dall’ibridazione. È il risultato di un innesto fruttifero di una cultura nell’altra”.Tuttavia, secondo Farian Sabahi, essere donna e imam in Occidente è più semplice. “Ci sono diritti che diamo per scontati” osserva la giornalista “ma la laicità delle istituzioni è conditio sine qua non per il rispetto dei diritti umani sanciti dalla Dichiarazione del 1948”. Nei Paesi dove vige la sharia la testimonianza di una donna in un processo non ha lo stesso valore di quella di un uomo. In Iran, i figli maschi ereditano il doppio rispetto alle loro sorelle. In caso di oltraggio al corpo, il risarcimento previsto per le donne è la metà di quello che spetterebbe a un uomo. In Arabia Saudita le donne sono obbligate a sottostare a un guardiano che decide anche della loro possibilità di andare in ospedale. E la situazione è ancora più grave dove c’è la guerra. Come in Yemen, dove dall’inizio dei bombardamenti sauditi tutti i progetti di riforma sono stati bloccati.

Rispetto ad altri Paesi europei, su tutti Danimarca, Francia e Germania, in Italia il “movimento delle imame” sembra avere meno presa. “Non c’è stato il tempo” è l’analisi dell’autrice del libro “ma sono sicura che avremo presto delle donne imam”. Nessuna imama che conduca la preghiera di fronte a donne e uomini, in Italia, solo guide spirituali: punti di riferimento per la comunità, donne preparate che però alla domanda “perché non guidi la preghiera?” rispondo “perché dovrei?”. Le novità arriveranno dalla seconda e dalla terza generazione: “è l’ibridazione a creare la necessità di trovare una soluzione alla dissonanza cognitiva tra la cultura di origine e il paese di accoglienza”.

Una questione sempre più attuale, sottolinea Luciana Capretti: “dopo il 2050 la popolazione musulmana nel mondo potrebbe raggiungere numericamente quella cristiana. E allora, quale Islam vogliamo?”.

GIORGIA GARIBOLDI

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